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Basi strategiche ed "effetto Israele", il ruolo della Russia in Medio Oriente

Mosca si proietta con maggiore convinzione a sud del Mar Nero. Nel Mediterraneo, con sempre più navi da guerra, e in Siria, dove ha basi strategiche. Ma anche nel conflitto tra Israele e Hamas

Ansa

"Grande è il disordine sotto il cielo, sicché la situazione è eccellente". Questa celebre frase di Mao Tse-tung sembra perfetta per descrivere l'opportunismo geopolitico di Paesi come Russia, Cina e Turchia nella loro "nuova corsa" ad Africa e Medio Oriente, dove il disordine socio-istituzionale è massimo. Con un mantra comune: fomentare conflitti regionali e approfittarne. Mentre però Pechino e Ankara rivelano una tendenza ad "agire nell'ombra", come nel conflitto in Ucraina, Mosca assume un ruolo decisamente più esposto ed esplicito. Anche nel ridestato conflitto tra Israele e Hamas, che il Cremlino ha tutto l'interesse a mantenere caldo, per non dire bollente, nel tentativo di distrarre il mondo dalla guerra in Ucraina. L'effetto Israele fa insomma il gioco di Mosca. Questo perché la Russia è largamente presente nel Medio Oriente con militari, basi navali, investimenti e soft power. Soprattutto in Siria, ma anche in Israele e perfino nel Mediterraneo.

Tgcom24

Dopo l'invasione dell'Ucraina, la Russia ha subìto, com'è noto, pesanti sanzioni e una marginalizzazione politica sempre maggiore da parte dell'Occidente. Per questo motivo ha riversato maggiori risorse ed energia in quei territori che controlla indirettamente con presenza militare e paramilitare in Africa e in Medio Oriente. Non è una novità: si tratta di aree del mondo sulle quali Mosca investe da tempo. Con Israele intrattiene rapporti decisamente ambigui: sulla carta più che alleati, amici, ma al contempo anche alleati dei nemici del proprio "amico".

Il legame fra Russia e Israele  Sebbene Putin abbia scelto di criticare le operazioni militari di Israele contro Gaza, i legami tra Russia e Israele restano strettissimi. Almeno sulla carta. Nel 1948 l'Unione Sovietica supportò la nascita dello Stato ebraico e fu il primo Stato a riconoscerne la legittimità, spingendo le sue Repubbliche federate come l'Ucraina a fare altrettanto. Non solo: Mosca può vantare una comunanza etnico-culturale con Israele, in quanto i fondatori dello Stato ebraico erano in gran parte di lingua yiddish e russa. Il risultato è che, ancora oggi, Israele è l'unico Paese russofono fuori dallo spazio ex sovietico. La massiccia emigrazione di russofoni, provenienti soprattutto dall'Ucraina sovietica, ha inoltre cambiato il volto della società israeliana. Oggi nello Stato ebraico vive oltre un milione e mezzo di russi etnici: la terza comunità russa più grande al mondo. Storicamente impero multietnico, ma non multiculturale, la Russia contiene nella propria pancia anche una vastissima comunità ebraica, e molti degli stessi famigerati oligarchi hanno il passaporto israeliano. Dunque possiamo dire che la Russia sta dalla parte di Israele? La risposta è quella classica che si dà per le superpotenze: "nì", e cioè sì ma anche no. Non foss'altro che la Russia è anche alfiere della causa palestinese dai tempi dell'Unione Sovietica. Gli interessi russi si estendono inoltre al di là dei confini israeliani. Mosca è infatti anche il senior partner della Siria alawita, dopo aver impedito assieme all'Iran il rovesciamento del regime di Damasco. Senza dimenticare i contatti sempre più stretti con l'Egitto, che tiene da tempo il piede in due scarpe, visto che riceve ogni anno 1,3 miliardi di dollari in aiuti militari dagli Usa.

La Russia si propone come mediatore tra Israele e Hamas  Partiti palestinesi come i socialdemocratici dell'Iniziativa nazionale palestinese sono convinti che la Russia possa svolgere un ruolo importante come mediatore nel conflitto tra Israele e Palestina. Questo perché, secondo l'influente Mustafa Barghuthi, Mosca "non ha mai seguito l'esempio dell'Occidente" e ha mantenuto una postura "neutrale ed equilibrata". Il Medio Oriente, nel suo insieme, è di grande importanza nella politica estera russa. Mosca è stata scelta come teatro di colloqui con rappresentanti di Hamas e dell'Iran. "Abbiamo contatti con tutti", si giustifica il Cremlino mentre si propone come grande unico mediatore possibile tra le parti avverse in Terra Santa. Ma la reputazione russa e soprattutto di Vladimir Putin non è la stessa di qualche anno fa, dunque è molto difficile che Mosca riesca nel suo intento.

Mosca sapeva dell'attacco imminente a Israele?  Secondo fonti di intelligence occidentali, la leadership russa sarebbe stata a conoscenza dell'imminente attacco dei militanti di Hamas contro Israele. Gli 007 ucraini si spingono anche decisamente oltre, affermando che a Hamas sarebbero state consegnate in anticipo anche le armi delle Forze armate ucraine catturate durante le battaglie contro i russi. Le compagnie militari private russe, come il Gruppo Wagner, non solo avrebbero poi addestrato i palestinesi, ma sarebbero anche intervenute direttamente nella zona di battaglia in Israele. Ciò che è certo è che il Cremlino non poteva non sapere nulla in assoluto riguardo l'imminente attacco dei fondamentalisti arabo-palestinesi, visto anche il coinvolgimento dell'alleato Iran.

Cosa ci fa la Russia in Medio Oriente  L'impegno diretto russo nell'area risale al periodo della Guerra Fredda. Il suo rilancio è avvenuto invece nel 2015, con la campagna in Siria. Le contemporanee operazioni in Libia hanno garantito a Mosca una presenza militare stabile nella fascia che congiunge Medio Oriente e Nordafrica. Nel 2019 il primissimo vertice Russia-Africa, del quale abbiamo assistito recentemente alla seconda edizione, certificò la vocazione duratura della Russia a una presenza stabile nel Continente Nero. Una presenza pesante: stando agli ultimi dati disponibili, risulta che soltanto in Siria, tra il 2015 e il 2018, sono stati schierati almeno 48mila militari russi, oltre a 8mila contractor privati. A sostegno delle forze di Tobruk del generale Haftar hanno operato invece circa 5mila mercenari Wagner. E a proposito di Tobruk, Mosca si è mossa per ottenere l'accesso per le sue navi da guerra nei porti della Libia controllati dall'uomo forte della Cirenaica. Alti funzionari russi, tra cui il viceministro della Difesa Yunus-Bek Yevkurov, hanno incontrato Haftar per discutere dei diritti di attracco a lungo termine nelle aree da lui controllate nell'est del Paese. Mosca ha inoltre chiesto l'accesso ai porti di Bengasi o Tobruk, distanti 700 chilometri dalle coste di Grecia e Italia.

Il rapporto con Egitto e Iran  Con l'escalation del conflitto ucraino, però, il Cremlino ha deciso di richiamare molti mercenari dal teatro africano e mediorientale, rafforzando al contempo le relazioni diplomatiche coi Paesi. Con tanto di visite di persona di Lavrov e Putin. Nel corso dell'ultimo anno, ad esempio, è cresciuta moltissimo la cooperazione tra Russia ed Egitto. Dopo l'invasione dell'Ucraina, il ministro egiziano Shoukry si è recato più volte a Mosca, ufficialmente per "consultazioni politiche". In cambio la Russia ha offerto una consultazione di tipo energetico, facendosi carico della progettazione della prima centrale nucleare egiziana, l'impianto di El-Dabaa. Su un costo totale di 28,75 miliardi di dollari, la Russia ha investito circa 25 miliardi di dollari (l'85% del budget) attraverso un prestito di rimborso della durata di 22 anni. Nel 2022 Putin si è inoltre recato in Iran, ufficialmente per parlare degli accordi di Astana per la guerra in Siria, nella pratica per rilanciare la cooperazione tra Mosca e Teheran. La seconda sostiene incondizionatamente la prima nelle rivendicazioni ucraine, aspettandosi che la Russia non ostacoli in sede internazionale (vedi: risoluzioni Onu) le operazioni iraniane pro Hamas e pro Hezbollah. Nel 2022 l'Iran ha inoltre fornito anche decine di turbine per risollevare l'industria del gas russa, oltre a più di 600 droni Shahed-136.

L'asse Mosca-Teheran-Hamas allargata a Hezbollah  Il Cremlino si è spinto anche oltre, organizzando un incontro a Mosca tra delegazioni di Iran e Hamas e il viceministro degli Esteri russo. Ciò risponde all'intenzione iraniana di garantire al movimento fondamentalista partner importanti a livello internazionale, soprattutto dopo la conclusione dell'attuale escalation. L'asse Mosca-Teheran-Hamas allunga la propria direttrice anche verso gli Hezbollah. Con l'organizzazione paramilitare islamista del Libano la Russia ha tessuto rapporti definiti "redditizi" dal Washington Institute for Near East Policy, dopo essersi "conosciuti" combattendo fianco a fianco in Siria dalla parte di Assad. Mosca ha poi fornito missili Kornet al gruppo. Questa cooperazione si è quindi declinata nel 2018 anche nell'aggiramento delle sanzioni imposte dagli Usa sull'export del petrolio iraniano, per contrastare il contrabbando di greggio da parte di Hezbollah e della Forza Quds iraniane. Secondo il Royal United Services Institute, lo schema è il seguente: Teheran provvede a immettere denaro nelle casse della Promsyrioimport, società di proprietà statale russa, per conto della Siria. In questo modo Mosca riesce a eludere le sanzioni statunitensi contro il regime di Assad. A sua volta la Banca centrale siriana finanzia Hezbollah, Hamas e Forza Quds per conto del regime iraniano.

Le basi navali russe nel Mediterraneo  Il controllo russo del "ponte" tra Africa e Medio Oriente si dipana anche e soprattutto attraverso porti e presenza navale. Quest'estate si contavano ben 18 grandi imbarcazioni di Mosca nel Mediterraneo. L'anello più forte della catena è però rappresentato dalle infrastrutture portuali e aeroportuali che la Russia controlla nell'area, in particolare in Siria. I due avamposti principali sono la base navale di Tartus e quella aerea di Ḥumaymīm/Kheimim, nei pressi di Latakia. La prima rappresenta l'unica installazione marittima di Mosca nel Mediterraneo, dove stazionano quattro navi militari di media stazza e in cui avviene la manutenzione delle imbarcazioni da guerra utilizzate nel Mar Nero. Nel 2017 la Russia ha inoltre sottoscritto il controllo e la sovranità del territorio dove sorge la base per la bellezza di 49 anni. Con un grande obiettivo: ampliare l'infrastruttura per consentire l'attracco di navi a propulsione nucleare. Le mani russe si allungano però anche nel Mar Rosso, chiudendo così la cerniera che collega il Mediterraneo (e dunque l'Atlantico) all'Oceano Indiano. A Port Sudan, principale snodo marittimo del Sudan, il Cremlino ha inaugurato il progetto di un porto dalla grande importanza strategica per blindare da sud il controllo della regione.

La grande base aerea di Mosca in Siria  La proiezione di potenza russa si realizza anche attraverso la grande base aerea di Latakia, nata nel 2015 per appoggiare l'esercito regolare siriano di Bashar Al Assad. Tra questo quartier generale russo e il porto di Tartus ci sono poco più di 50 chilometri, una striscia che consolida il controllo russo e semplifica i collegamenti logistici. La distanza ridotta obbedisce anche a due esigenze tattiche primarie: garantire l'intervento aereo di supporto in caso di un attacco contro il porto militare e fungere da trampolino per raid nell'entroterra siriano, iracheno ed eventualmente anche turco. Con una potenza di fuoco da far rabbrividire. La base ospita infatti i temutissimi missili ipersonici Kinžal e batterie missilistiche terra-aria S400 Trumph, che blindano di fatto il controllo russo dei cieli siriani. Dal 2021 il Cremlino ha dotato l'avamposto di sistemi S500 Prometheus, per non parlare di caccia Sukhoi, aerei per lo spionaggio elettronico (Ilyushin II-20M), carri armati e blindati anfibi Brt-82. La Russia, insomma, spaventa davvero il Mediterraneo. I missili Kinzal possono essere montati su piattaforme supersoniche a lungo raggio, come i bombardieri strategici Tu-22M3 Backfire-C, consentendo a Mosca di minacciare direttamente il fronte meridionale della Nato e le basi statunitensi in Italia.

Navi russe nel Mediterraneo: cosa rischia l'Italia  La domanda sorge spontanea: la crescente presenza di navi e corazzate russe nel Mediterraneo rappresenta un fattore di rischio concreto per l'Italia? Senza dubbio la Russia ha aumentato il proprio peso a due passi dalle nostre coste per aumentare la pressione sulla Nato, aprendo di fatto un fronte secondario a quello ucraino. La preoccupazione e la tensione sono aumentate rapidamente, come dimostra la scelta americana di schierare nuovamente portaerei nelle acque italiane, inclusa l'imponente Gerald Ford. La strategia russa è chiara: ampliare il conflitto, aprendo nuovi fronti alle periferie d'Europa, oltre all'Ucraina. I rischi di attacco nei confronti dell'Italia sono però prossimi allo zero, in quanto il nostro Paese rappresenta ufficialmente un partner privilegiato "di dialogo e cooperazione limitata" per il Cremlino. Al netto di tutte le divergenze. L'Italia è cruciale per qualunque potenza voglia proiettarsi nel Mediterraneo. In questo senso l'aumento delle navi russe da guerra nel Mar Adriatico rivelerebbe la "semplice" volontà di Mosca di testare i sistemi di rilevamento della U.S. Navy e della Marina militare italiana. Il documento che contiene la strategia navale russa parla letteralmente di una "sezione ampliata del bacino mediterraneo, con un rafforzamento del partenariato tra Mosca e Damasco, e il conseguente incremento della presenza navale russa nella regione, anche attraverso lo sviluppo dei rapporti con vari Paesi mediorientali e nordafricani, con forme di cooperazione tecniche e militari e la realizzazione di nuovi centri logistici". Nel paragrafo successivo, il Cremlino stila una lista di Stati che si considerano prioritari per la politica navale russa. Ai primi posti figura l'India, con la quale la Russia vuole trasformare l'attuale "rapporto di grande cordialità" in un "partenariato strategico".

Russia e Turchia: nemici o alleati?  Le mire russe su Mediterraneo e Medio Oriente si scontrano inevitabilmente con le velleità della Turchia, che in Libia conserva grandissima influenza nella Tripolitania, controllando di fatto rotte migratorie e gasiere. Per quanto riguarda Israele, Ankara prosegue nel suo consueto "equilibrismo diplomatico", restando membro della Nato e grande avversario dell'Iran nella supremazia culturale panislamica e, al contempo, accusando Israele e l'Occidente di crimini di guerra e reponsabilità nel conflitto mediorientale. La leadership turca vorrebbe intestarsi la causa palestinese, sfidando la narrazione di Teheran proprio in questo campo. Le mire imperialiste di stampo ottomano sul Medio Oriente non sono affatto scomparse, ma anzi rilanciate con la dottrina della cosiddetta "Patria Blu" sulla giurisdizione marittima turca. Per questo gli Usa hanno dispiegato una portaerei con gruppi d'assalto in quel tratto di Mediterraneo, al fine di scongiurare qualsiasi intervento di Ankara nel conflitto israelo-palestinese. Tanto per cambiare, anche i rapporti fra Russia e Turchia sono estremamente ambigui: avversari in Libia, ma non in Ucraina nonostante la Turchia sia membro della Nato e fornisca droni Bayraktar a Kiev; cooperanti nel "modello siriano" in cui, pur agendo su fronti opposti, dialogano costantemente per mantenere entrambi l'accesso ai teatri africani; entrambi i Paesi sono partner dell'Egitto (in precedenza la Turchia ne era avversaria a causa della scelta di ospitare i leader dei Fratelli Musulmani); entrambi si dividono il controllo di ampie aree africane nel Sahel e nel Maghreb. Dietro le spalle Ankara si nasconde però Washington: per gli Usa la Turchia resta una vertebra fondamentale per proiettarsi in Medio Oriente, Est Europa e Africa. La Russia lo sa bene. Gli imperi non hanno amici.

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