"Non ho mai conosciuto mio padre, e lui non ha mai conosciuto me. Ma sono cresciuta pensando a lui ogni giorno. Papà era un pompiere, è morto da eroe nelle Torri Gemelle, ma il suo corpo non è ancora stato trovato". Alexa Smagala è una dei 105 bambini che erano ancora nel grembo materno quando i loro padri furono uccisi negli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 a New York, Washington e Shanksville, in Pennsylvania. Oggi ha 21 anni, studia all'università della Florida Centrale per diventare logopedista e sogna di lavorare con i bambini. "Il suo sacrificio, e quello di tanti vigili del fuoco e poliziotti morti come lui, non deve essere dimenticato", dice a Tgcom24.
Lo specchio nella caserma -
Ogni anno, l'11 settembre, Alexa Smagala torna a New York con la sua famiglia, va sul luogo della strage e poi a Brooklyn, nella caserma dove suo padre lavorava. "C'è ancora il suo armadietto", dice, "E' l'ultimo posto in cui è stato prima di morire. Trascorreva tutto il suo tempo lì. Su uno specchio sul muro c'è scritto: 'Specchio, specchio sul muro, chi è la più bella tra tutti loro? Sei tu Stan'. Era uno scherzo dei colleghi. Lo prendevano in giro perché era bello".
Il papà di Alexa Smagala si chiamava Stanley Smagala, aveva 36 anni ed era il più giovane di sette fratelli. Amava giocare a golf e softball, era un mago del ping-pong e nella caserma dell'FDNY Engine 226 a Brooklyn, dove lavorava, era noto per la sua simpatia. "Faceva scherzi a tutti", racconta sua figlia, "i suoi colleghi mi hanno raccontato che aveva un senso dell’umorismo fuori dal comune. Gli piaceva ridere e fare ridere. Era anche molto premuroso con le persone. Mamma ama dirmi che papà è morto come ha vissuto: aiutando gli altri".
"Non doveva lavorare" -
Solo di recente Alexa Smagala ha scoperto che quel giorno suo padre non avrebbe dovuto essere al lavoro. "Ha cambiato turno perché mamma doveva fare una ecografia il giorno dopo e non voleva che andasse da sola", racconta. "Papà era in caserma quando arrivò la chiamata che dovevano correre a evacuare i grattacieli", spiega, "è entrato nella Torre 2, probabilmente sapendo che non ne sarebbero mai usciti. E' arrivato al 40esimo piano e il grattacielo è crollato". Alexa ricorda: “Mamma iniziò a ricevere messaggi e telefonate di amici e parenti. Le dicevano: 'Guarda la tv'. Per tutto il giorno ha sperato di vederlo tornare a casa. Alla fine ha capito che era morto".
Il corpo di Stanley Smagala non è mai stato trovato. "Non ho mai avuto una tomba dove recarmi", dice Alexa, "quando ero bambina chiedevo sempre a mamma perché non andavamo mai al cimitero da papà. Mi spiegava che lui era in cielo, ho smesso di chiederlo. Quando mio padre è morto, mamma era incinta. Sono nata il 9 gennaio del 2002, quattro mesi dopo la sua morte. Sono cresciuta con mamma a Long Island, New York. Per mamma non è stato facile affrontare quello che ha vissuto e crescermi da sola. Ricordo che da bambina guardavo le foto di famiglia alla ricerca di una mia con lui. Soffrivo così tanto all’idea di non averne. Mamma mi diceva che non dovevo essere triste perché, quando è morto, papà sapeva che stavo per nascere e non vedeva l’ora di tenermi tra le braccia".
Non sapeva di aspettare una bambina -
"Sono stata una bambina cercata, voluta", continua Alexa, "l’anno prima che nascessi, mamma aveva avuto un aborto. Con papà avevano sofferto tanto, ma non si erano dati per vinti. Lui le diceva: 'Non preoccuparti, nostro figlio arriverà. E se sarà una bambina, la chiameremo Alexa Faith, per celebrare la nostra fede nel fatto che nascerà'. Pochi mesi dopo, nella primavera del 2001, mamma ha scoperto di essere incinta. Quella sera papà ha trovato la tavola apparecchiata per tre. Le ha chiesto: 'Aspettiamo qualcuno?'. Mamma gli ha dato un bavaglino con scritto: I love you daddy, ti amo papà. Erano così felici che lui non ha mai voluto sapere se sarei stata un maschietto o una femminuccia. Purtroppo, non ha avuto la possibilità di scoprirlo".
Come una farfalla -
Alexa ha gli stessi occhi di suo padre. "Ho anche i capelli biondi, come lui", dice, "non è stato facile crescere senza papà. Mamma poi si è rifatta una vita, ora ho una sorella di undici anni, che adoro. Mi è mancato molto non poter condividere con mio padre i primi successi a scuola, il ballo di fine anno, le piccole cose della vita. Ma ho sempre avuto la sensazione che lui mi fosse vicino, in ogni momento. Il giorno in cui mi sono diplomata, una farfalla si è poggiata su una mia gamba. Ho pensato: lui è qui. Quello che è successo mi ha fatto diventare la persona che sono oggi. Mi ha resa più forte, anche se mi ha costretta a rendermi conto fin da piccola che la vita non è giusta. A ogni anniversario torno con la mia famiglia al World Trade Center e nella caserma di papà per sentirmi più vicina a lui. Quello che è successo l'11 settembre del 2001 ha cambiato il mondo, ma non è servito a insegnare agli uomini quanto orribili siano gli attentati e le guerre".