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Test nucleari: ce li raccontano i gusci delle tartarughe

Un gruppo di ricerca del Pacific Northwest National Laboratory ha rilevato dell’uranio nei carapaci di esemplari vissuti nei pressi di siti radioattivi

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La natura tiene traccia di tutto e lo fa nei modi più sorprendenti. Succede così che si possano trovare tracce di contaminazione nucleare nei gusci delle tartarughe e delle testuggini.

Lo ha scoperto un team di scienziati del Pacific Northwest National Laboratory, che ha utilizzato uno speciale spettrometro di massa per rilevare l’uranio nei gusci di esemplari che in passato erano stati vicini a siti radioattivi. Le tartarughe analizzate infatti provenivano da aree in cui erano stati effettuati test, come le isole Marshall e il Nevada Test Site, o da altre vicine a siti di produzione di materiale radioattivo, come la Oak Ridge Reservation. Cinque in tutto gli esemplari oggetto di studio, collezionate dalla fine degli anni Cinquanta fino ai Novanta.  

I risultati hanno mostrato che le tartarughe che erano state esposte al rilascio di rifiuti o ad altro materiale radioattivo, avevano accumulato isotopi di uranio nelle scaglie del loro guscio. Inoltre, i ricercatori hanno anche individuato delle variazioni temporali. In un caso, ad esempio, sono riusciti ad osservare come le aree più contaminate fossero quelle corrispondenti alla giovane età della tartaruga.

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La quantità di uranio trovata è in realtà così piccola che è improbabile che abbia influito sulla salute degli esemplari. Gli scienziati però sperano che la tecnica possa essere utile per capire dove e quando si è verificata l’attività nucleare e come i materiali radioattivi si spostano dal suolo e all’acqua alle piante e agli animali.

Un dato interessante, infatti, è che una delle tartarughe, proveniente dall’atollo di Enewetak nel Pacifico, luogo di 43 test nucleari, probabilmente non era ancora nata al momento dei test. Anzi, la presenza di uranio potrebbe essere dovuta a una contaminazione avvenuta 20 anni dopo la fine dei test.

Un modo con cui la natura ci ricorda che la sua è una memoria lunga e che questo spesso può tornarci molto utile. 

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