Intervista a Tgcom24

Il generale e le truffe affettive: “La giornalista non ha parlato con me" | "In due anni ho salvato oltre 200 persone”

Parla a Tgcom24 l'ex comandante del bunker antiatomico più grande d'Italia, Gerardino De Meo: "Non bisogna denigrare le vittime, perché vanifica il nostro lavoro e aiuta i truffatori a operare indisturbati"

di Tamara Ferrari

© Tgcom24

"Non ho mai parlato con quella giornalista". Il generale in pensione Gerardino De Meo, ex comandante di un distaccamento della Nato di Verona e di "West Star", il bunker antiatomico più grande d'Italia, è deluso da quello che è accaduto nelle ultime 48 ore. “Un mese fa ho raccontato a Tgcom24 la truffa online di cui ero rimasto vittima. A distanza di un mese, tre giorni fa un quotidiano italiano ha pubblicato una intervista che non mi è mai stata fatta. Le frasi riportate hanno fatto il giro di giornali e siti web, in alcuni casi mettendo a rischio il lavoro che Acta, l'associazione contro le truffe affettive e lotta al cybercrime, fa da anni”. 

Dopo la truffa subita, lei ha deciso di collaborare come volontario con Acta. Che cosa fa?
"In due anni ho assistito oltre 200 persone vittime di truffe affettive e delle conseguenze, che sono devastanti. In alcuni casi sono riuscito, insieme ad altri volontari, a fare risparmiare loro diverse migliaia di euro. Cosa più importante: riesco a risollevarli dallo stato di abulia e di depressione nelle quali inevitabilmente si sprofonda e a rincuorarli quando i truffatori ritornano all'attacco dopo un paio di mesi dalla fine della truffa. In quel caso, i truffati si fanno prendere dal panico". 

Come fa?
“Per combattere la "guerra" contro i truffatori, utilizzo le competenze acquisite nei sei anni in cui ho lavorato come analista di intelligence militare. Questi crimini, che sono conosciuti per il risvolto romantico di molte truffe, in realtà sono compiuti da bande criminali legate alle mafie. Ci sono giri di denaro ingenti. Non posso svelare le tecniche di indagine che ho messo a punto insieme ai volontari di Acta, posso dire solo che lavoriamo su due livelli. Facciamo prevenzione informando la gente attraverso i social e tutti i mezzi di informazione sulle varie metodologie che usano i truffatori e su come questi metodi si stiano evolvendo. Inoltre, aiutiamo chi realizza di essere vittima di truffa e si ritrova nella disperazione più assoluta. Aiutiamo le vittime a rendersi conto di essere state truffate. Spesso rifiutano solo l'idea”.

Come fate a farglielo capire?  
“Si tratta di persone che sono state 'ipnotizzate'. L'età va dai 23 anni in su. A volte basta dimostrare loro che le foto usate dai truffatori per identificarsi in realtà sono state rubate a persone ignare del fatto che la loro immagine venga sfruttata dai criminali. Abbiamo un database con foto e informazioni sui truffatori. Quando neanche questo basta, usiamo altri metodi”.

Quali?
“Non posso svelare tutto. Posso dire, però, che anticipiamo le mosse che farà il truffatore. Se, per esempio, ha promesso alla vittima che prenderà un aereo e verrà a trovarla, noi diciamo: 'Non arriverà mai. Ti dirà che ha fatto un incidente prima di arrivare all'aeroporto, oppure che è stato arrestato per questioni di droga'. Sono alcune delle scuse che utilizzano per negarsi ma continuare a tenere agganciate le vittime. E' chiaro che quando il truffato vede che quello che avevamo anticipato si verifica, apre gli occhi”.

Li aiutate anche a sporgere denuncia?
“Certamente. Facciamo in modo che alle forze dell'ordine e alle Procure arrivino denunce dove il truffato non appaia come uno sprovveduto, ma per quello che in realtà è: una persona intelligente che è stata portata a fare cose che normalmente non avrebbe mai fatto. Bisogna tenere conto che ci sono donne e uomini arrivati a vendere la nuda proprietà delle loro case, che si sono indebitati con gli amici, i parenti e con le banche. Agli investigatori forniamo tutte le prove che dimostrano la truffa, iban compresi, con i relativi intestatari. Non ci limitiamo a questo: diamo anche supporto emotivo a chi è rimasto vittima di queste truffe. Parlare con chi ha subito situazioni simili aiuta a superare il trauma. Spesso, dopo una truffa ci si ritrova soli, perché chi ci sta intorno fa fatica a capire quello che ci è accaduto. Ecco perché è importante non denigrare o colpevolizzare le vittime. Il rischio è che poi nessuno trovi il coraggio di denunciare”.

Per questo è rimasto deluso dagli articoli pubblicati in questi giorni?
“Se ho scelto di metterci la faccia e raccontare la mia esperienza con i truffatori, è stato per sensibilizzare più gente possibile sui rischi che si incontrano online e anche nella vita reale. Nel caso di questa intervista pubblicata senza che nessuno mi abbia chiamato o parlato con me, devo dire che, sebbene l'articolo evidenzi bene il pericolo che gli autori delle truffe on-line rappresentano per la collettività, vi sono imprecisioni che hanno contribuito al clamore mediatico e a titoli di giornale nocivi per la missione che porta avanti chi, come Acta, lotta contro questo tipo di crimini”.

Che tipo di imprecisioni?
“Si afferma che ho alle spalle una 'intera carriera nell'intelligence e nel controspionaggio', ma io ho svolto un'attività militare di analista solo per sei anni e, in ogni caso, non come 'investigatore' o addirittura '007', come ha scritto mesi fa un altro giornalista che non mi ha intervistato. Non sono mai stato un ufficiale della Nato di 'alto rango', come hanno scritto in tanti, bensì un 'ufficiale superiore' congedato con il grado di colonnello e nominato generale di brigata il giorno successivo. E non sono stato neanche capo della base Nato a Verona, ma di un piccolo distaccamento. Tutte cose che, se mi avessero intervistato, avrebbero saputo. Ma il problema non è tanto questo, e nemmeno la serie di imprecisioni riportate sulla truffa che ho subito. Il problema è che si è 'giocato' su queste informazioni per creare titoli a effetto, ma nocivi. C'è addirittura chi ha scritto che il colmo per un generale esperto di intelligence è rimanere vittima di una truffa online. Si tratta di parole denigratorie nei confronti dei truffati. E' proprio l'essere prese in giro e mortificate che spinge le vittime a non raccontare la propria esperienza, facilitando così il lavoro dei truffatori, poiché se nessuno denuncia il fenomeno non emerge”.

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