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Scuola, il dopo maturità? Laurearsi conviene ancora, ma ci sono anche alternative

Scegliere il percorso post-diploma non è sempre semplice. Daniele Grassucci, founder e direttore di Skuola.net, elenca possibili opzioni al di là dell'università

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Il pezzo di carta - ovvero la laurea - paga ancora sul mercato del lavoro. I laureati hanno mediamente uno stipendio più alto e tassi occupabilità più elevati rispetto ai diplomati, almeno stando a quanto riporta il consorzio AlmaLaurea che monitora costantemente l’efficacia dei titoli di studio di secondo e terzo livello. Tuttavia, non tutte le lauree hanno la stessa efficacia: quelle che consentono di intercettare i grandi trend tecnologici del momento sono sicuramente più “spendibili” rispetto a quelle che insistono su settori ormai saturi o in contrazione. E la nostra economia - come anche quelle di altri Paesi europei - fa fatica a trovare profili professionali di tipo tecnico-pratico: dai carpentieri agli elettricisti, passando per i tecnici specializzati nelle varie specialità dell’industria manifatturiera. Che, ovviamente, hanno cambiato volto, richiedendo oggi un bagaglio elevato di competenze.

Di conseguenza, per loro, aumentano le retribuzioni. E se una volta la fabbrica era il luogo del grasso e della fuliggine, con l’avvento dell’industria 4.0 questi luoghi stanno diventando ambienti sempre più salubri e tecnologici. Insomma, il mondo è cambiato e le equazioni di un tempo sono superate, come spiega Daniele Grassucci, direttore del portale di riferimento degli studenti Skuola.net, nonché autore del libro “Dopo la scuola. Come costruire il tuo futuro in sei semplici mosse”, che forte della sua esperienza quotidiana a contatto col mondo della formazione ha voluto aiutare i giovani indecisi - neodiplomati e no - a orientarsi tra le tante opportunità oggi disponibili ma che, spesso e volentieri, non tutti conoscono. E che, invece, possono “illuminare” la via. Facendo un favore anche al Paese intero.

Le falle del “sistema Italia”: numeri record di NEET e posti di lavoro vacanti

Perché l’Italia è attualmente ingabbiata in un paradosso. “Da una parte - sottolinea Grassucci - abbiamo uno dei tassi di disoccupazione giovanile più alti d'Europa, dall’altra un forte mismatch, ovvero la non corrispondenza tra le richieste in termini professionali del mondo del lavoro e l’offerta di professionalità che possono dare i nostri giovani in uscita dal sistema di istruzione”. Il che contribuisce ad aggravare la piaga sociale dei Neet - quei giovani che non studiano né lavorano - che ha ormai superato quota 3 milioni, circa uno su 4 nella popolazione di riferimento.

L’università stessa, peraltro, non è stata ancora in grado di trovare una soluzione a questo problema. Se andiamo ad analizzare gli ultimi dati AlmaLaurea, a un anno dal titolo di studio, lavora circa il 75% dei laureati: “Chiaro che a lungo termine - spiega l’esperto - una laurea garantisce una maggiore occupazione e retribuzione, ma può essere un percorso complesso, soprattutto per alcuni titoli non più così appetibili per il mondo del lavoro, mentre ce ne sono altri, come quelli legati alle STEM (ad es. scienze, ingegneria, matematica), che registrano il problema opposto, ovvero ci sono meno professionalità di quelle che occorrerebbero, specie in alcuni settori”.

E allora come uscirne? Da un lato, indirizzando i ragazzi determinati a conseguire una laurea verso i percorsi più “appetibili” per il mondo del lavoro. Dall’altro, aprendo agli altri tutto il ventaglio delle opportunità, sia di quelle che danno più possibilità di trovare una buona occupazione in tempi rapidi sia di quelle di cui si parla poco ma che potrebbero stuzzicare la fantasia di più di qualcuno.

Università, le discipline STEM in pole position ma guai a sottovalutare le humanities

“C’è laurea e laurea - ricorda Grassucci - l’ultimo rapporto AlmaLaurea traccia un quadro molto chiaro di quelle che garantiscono una maggiore soddisfazione, almeno in termini di stipendio, a chi le ha conseguite”. Ad esempio, rispetto ai laureati del gruppo politico-sociale e comunicazione - che il rapporto prende a riferimento per misurare il confronto con le altre classi - percepiscono, in media, retribuzioni significativamente superiori i laureati dei gruppi medico-sanitario e farmaceutico (+272 euro mensili netti), informatica e tecnologie ICT (+207 euro), ingegneria industriale e dell'informazione (+204 euro), economico (+109 euro), nonché scientifico (+71 euro), dell’educazione e formazione (+62 euro) e delle scienze motorie e sportive (+46 euro). Più svantaggiati sono, invece, i laureati del gruppo giuridico (-102 euro mensili netti) ma anche quelli di architettura e ingegneria civile (-43 euro mensili netti), psicologico (-40 euro) e del settore arte e design (-32 euro).

Ma, ricorda Grassucci “ciò non vuol dire che bisogna rinunciare a diventare giuristi, linguisti, psicologi, letterati, filosofi e via dicendo. La tecnologia si sta umanizzando - applicazioni come ChatGPT ne sono un esempio plastico - quindi c’è bisogno di umanisti anche in quegli ambiti tecnologici in cui sembra che ci sia apparentemente quartiere solo per i tecnici e i tecnologici: basti pensare alle questioni etiche e giuridiche connesse all’intelligenza artificiale. Non saranno certo gli ingegneri a dipanarle”. Resta il fatto che il loro campo d’applicazione potrebbe essere in futuro sempre più ristretto e settorializzato.

ITS e ITFS: sono loro le principali alternative all’università

Ma il mondo del lavoro di oggi richiede sì alta formazione - tale per cui un diploma da solo spesso non è efficace - ma nel contempo non è detto che questa esigenza possa essere soddisfatta dai percorsi accademici. In questo senso, l’alternativa numero uno all'università, se non altro per gli investimenti di cui sono oggetto grazie al PNRR - grosso modo 1,5 miliardi di euro - sono gli ITS Academy, gli Istituti Tecnologici Superiori. “Si tratta - ricorda Grassucci - di percorsi di formazione di durata perlopiù biennale (ma ci sono anche corsi triennali) che sono progettati e realizzati in sinergia tra enti locali, enti di formazione a livello locale e realtà produttive e lavorative del territorio. Con un obiettivo specifico: andare a colmare proprio quel mismatch tra domanda e offerta in una specifica area, formando delle alte professionalità che possono andare a supplire alle carenze nell'organico che le imprese del territorio vanno a riscontrare. Coprendo moltissimi settori, dall’enogastronomico alle nuove tecnologie per la vita, passando per meccatronica, informatica, ICT, logistica”.

“Spesso - continua il direttore di Skuola.net - non basta più un diploma per occupare certi tipi di posizioni e nemmeno la laurea riesce a dare quel tipo di formazione necessaria per alcune professioni tecnico-pratiche. Proprio per questo sono nati gli ITS”. E i risultati, almeno fino a oggi, sono importanti: “L’80% degli studenti trova lavoro a un anno dal conseguimento del titolo e soprattutto con un tasso di coerenza, ovvero la corrispondenza tra tipo di formazione e lavoro svolto, superiore al 90%. Questo perché, appunto, i percorsi oltre a essere progettati con le aziende, prevedono per una buona parte delle ore di formazione degli stage o dei tirocini curricolari in azienda nonché un corpo docente che per una buona metà proviene proprio dal mondo produttivo di riferimento”. Peccato che dalle nostre parti siano ancora troppo sottovalutati. Un dato, su tutti, lo mostra: in Germania gli omologhi degli ITS hanno quasi un milione di iscritti, da noi poco più di 20mila, con l’obiettivo di arrivare a 60 mila in pochi anni.

Altrettanto performanti si stanno rivelando i “fratelli minori” degli ITS, i corsi che rientrano nell’ambito degli IFTS (istruzione e formazione tecnica superiore). Anche in questo caso le Regioni hanno un’ampia autonomia e soprattutto il mandato di costruirne l’offerta formativa. Questi percorsi hanno una durata minore rispetto agli ITS - si parla di due semestri, più o meno un anno, per un totale di 800/1000 ore - ma riescono ugualmente a formare quelle professionalità che il mondo del lavoro cerca ma che è difficile trovare tra i ragazzi in uscita dalle superiori. “Un’ottima alternativa all’università soprattutto per coloro che si sentono portati per svolgere mestieri tecnico-pratici”, assicura Grassucci.

Un corso privato? In alcuni casi può rivelarsi una scommessa vincente

C’è poi da dire che, negli ultimi anni, tutta l’offerta gestita in un modo o nell’altro dallo Stato - Università, ITS, IFTS - non sta bastando da sola a colmare quella famosa distanza tra domanda e offerta di lavoro. Perché oggi, conferma Grassucci, “c’è una grande domanda di professionalità in alcuni nuovi settori afferenti all’informatica - come quello dei Big Data, dell’Intelligenza Artificiale, della Blockchain, della Cybersecurity -  ma si fa tanta fatica a trovare persone adeguatamente formate per gestirli, semplicemente perché i canali istituzionali se ne occupano poco. Per questo, sempre più privati stanno ideando delle soluzioni per aiutare sia i giovani che le aziende a “incontrarsi”. Visto che, soprattutto all’inizio della carriera, non è necessario possedere la laurea, un master o un diploma tecnico per svolgere questi lavori”.

Alle volte, prosegue l’esperto, “basta un corso intensivo, di poche settimane, unito a una formazione pratica “sul campo”. In tal senso, mi piace citare Distretto Italia, un programma sviluppato dal consorzio ELIS - ente no profit che si occupa di preparare le persone al lavoro - con il supporto di oltre 34 tra grandi aziende, enti di formazione e agenzie per il lavoro. Solo nel 2023 è stato rilevato un fabbisogno di 10.000 fra elettricisti, giuntisti di fibra ottica, manager di cantiere e sviluppatori software. Così sono stati attivati corsi di formazione su tutto il territorio nazionale che, in poco tempo, a partire da un diploma o da una qualifica professionale, abilitano alle professioni di cui c’è più richiesta al momento. Un giuntista di fibra ottica, giusto per fare un esempio concreto, può guadagnare anche 1.800 euro al mese netti”.

Anche le aziende scendono in campo nella formazione con le proprie Academy

A questo punto del discorso dovrebbe, dunque, essere chiaro come ci sia oggi una forte domanda da parte del mondo del lavoro di “tecnici” con una forte vocazione pratica, che diano una mano per costruire quelle infrastrutture (per le telecomunicazioni, viarie, elettriche), espressamente inserite nel Pnrr. Ma i grandi colossi che si occupano di tali infrastrutture, di nuovo, non trovano gli operai specializzati che gli occorrono. E, quindi, investono in prima persona nella formazione di tali figure, inserendoli direttamente in azienda e pagandoli con degli stipendi interessanti. “Ad esempio Enel - porta ad esempio Grassucci - ha avviato da due anni un programma che si chiama 'Energie per crescere', che ha lo scopo proprio di formare nei prossimi anni circa 5.500 giovani, per avviarli alle professioni necessarie allo sviluppo della rete elettrica. A cui si affiancheranno, entro il 2025, altri 2.000 esperti di transizione energetica, anche loro formati da zero”.

Perché la transizione ecologica ci porterà ad aumentare la domanda di elettricità ma, se la rete non viene sviluppata, la transizione diventa complicata. E questo è solo un esempio, perché lo stesso fenomeno sta accadendo in numerosi settori. “I ragazzi in possesso di un diploma tecnico o di una qualifica professionale - suggerisce il direttore di Skuola.net - dovrebbero tenere d’occhio i siti Internet di queste grandi aziende che sviluppano infrastrutture, proprio per scovare questi programmi che, gratuitamente o addirittura con dei rimborsi spese, permettono di acquisire un “mestiere” ma soprattutto di inserirsi rapidamente nel mondo del lavoro”.

Forze Armate e di Polizia: l’alternativa che non tramonta, anche in tempi di tensioni internazionali

Uscendo dall’ambito STEM e professioni tecniche, c’è un altro mondo di cui si parla poco nel pubblico dibattito ma che, sotto traccia, sembra riscuotere un discreto successo tra i giovani. Anche in tempi in cui non sembrerebbe consigliabile o così attraente come magari potrebbe esserlo in uno scenario di pace. È quello delle Forze Armate e delle Forze di Polizia: “Secondo una ricerca che Skuola.net ha recentemente svolto con ELIS - riporta Grassucci - il 4% degli studenti che hanno completato il percorso scolastico guarda come sbocco post diploma a questi percorsi. E fanno bene, perché i vari corpi - Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco, Polizia Penitenziaria - ogni anno mettono a bando, complessivamente, migliaia di posti per tutte quelle che sono le carriere previste; ruoli iniziali, Sottufficiali e Ufficiali”.

“In particolar modo gli ultimi due percorsi sono dedicati in maniera specifica ai più giovani, perché si può concorrere fino a 22 anni (per le carriere da Ufficiale) e fino a 26 anni (per diventare Sottufficiale), con delle regole specifiche per chi ha svolto dei percorsi iniziali come la ferma breve di un anno. Permettendo, da un lato, di essere pagati sin dal primo giorno in cui si entra in una Forza Armata o di Polizia. E, parallelamente, di conseguire durante l’addestramento anche una laurea triennale (per i Sottufficiali) o magistrale (per gli Ufficiali). Perché questo settore ha bisogno non solo di persone specializzate per mettere in campo azioni di tipo militare; ha infatti necessità anche di personale tecnico (medici, ingegneri, giuristi, esperti di logistica, di relazioni internazionali, chimici, biologi, ecc.). Quindi è un'opportunità importante per gli studenti sia per il senso della professione che si va a svolgere sia in termini lavorativi veri e propri. Il che spiega il suo silenzioso successo”.

Cercare subito lavoro? Ok, ma a determinate condizioni

Dopodiché è chiaro che, alla fine, una delle alternative all'università che ha disposizione un neo diplomato rimane il classico tentativo di inserirsi immediatamente nel mondo del lavoro: “Con molti diplomi tecnici e professionali questo è sicuramente possibile - premette Grassucci - mi sento però di consigliare ai ragazzi, in un’epoca in cui il lavoro è sempre più complesso e in continua evoluzione (si dice che la metà dei mestieri che andremo a svolgere nel 2030 non li conosciamo o addirittura non sono stati ancora inventati) di non rinunciare a una formazione costante”.

Ma il lavoro non è solo quello che abbiamo imparato a conoscere fino a un po’ di tempo fa. Ci sono delle strade che magari oggi non vengono considerate, specie dagli adulti, con delle prospettive lavorative vere e proprie ma che, se affrontate col giusto approccio, possono essere davvero una strada ricca di soddisfazioni: “Penso - spiega il direttore di Skuola.net - a tutti quei che ragazzi che stanno avendo successo economico e professionale nel mondo dei social, come content creator, come streamer, sviluppando degli e-commerce, facendo trading di criptovalute. A tutti quelli che stanno già costruendo il proprio futuro attraverso questi canali, consiglio perciò di continuare e di sviluppare sempre più la propria esperienza”.

Ovviamente non esistono delle scuole per queste nuove professioni, ma esistono delle attività formative che possono aiutare a completare il proprio curriculum: “Ad esempio - secondo Grassucci - un ragazzo o una ragazza che sta avendo successo creando contenuti di qualsiasi tipo sui social media, dovrebbe studiare tutto ciò che attiene a una comunicazione efficace oppure lavorare sul potenziamento di alcune competenze trasversali”.

Perché, anche se si inizia a lavorare presto, non bisogna dimenticare di affinare sempre e costantemente la propria formazione. “C’è una sorta di mantra - conclude l’esperto - che guiderà il lavoro del futuro: l’’expertise’ (l’esperienza pregressa) avrà un valore sempre più relativo; quello che davvero conterà saranno la ‘curiosity’, ovvero la continua voglia di apprendere, e la ‘learnability’, ossia la capacità di “scaricare a terra” questa curiosità”. Ma queste sono caratteristiche che dovrebbero accompagnare qualsiasi tipo di percorso.

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