I familiari di Luca Attanasio hanno deciso di non essere parte civile nel processo per la morte dell'ambasciatore che vede imputati due funzionari del Programma alimentare mondiale dell'Onu. Il legale di Salvatore Attanasio, padre della vittima, ha comunicato al gup che la famiglia e la moglie Zakia Seddiki, hanno trovato un accordo con il Pam e hanno deciso di uscire dal processo.
La decisione della famiglia -
Il legale della famiglia Attanasio nell’apertura dell’udienza preliminare ha dichiarato che l'incasso ottenuto dall'accordo sarà interamente devoluto alle tre figlie del diplomatico assassinato. Ma nessuna marcia indietro: "Non ci accontenteremo di alcuna somma o verità di comodo. Pretendiamo che il processo faccia emergere tutte le responsabilità che sono dietro all’uccisione di mio figlio", ha dichiarato Salvatore Attanasio.
La famiglia del carabiniere Vittorio Iacovacci ha invece rifiutato il risarcimento e continuerà a essere parte civile in tribunale. "Noi restiamo come parte civile nel processo perché vogliamo la verità su quanto accaduto", ha motivato Dario Iacovacci, fratello del militare dell'Arma. Tra le parti civili nel procedimento figura anche il Comune di Limbiate, dove era nato e cresciuto Attanasio.
Sit-in a Roma -
Durante l'udienza del gup, Silvia Stilli, presidente di Aoi e Ivana Barsotto, presidente di Focsiv, hanno organizzato un sit-in in piazzale Clodio. "Non capire com’è garantita la sicurezza a chi fa la diplomazia per mestiere e a chi la fa per scelta, da volontario, per noi rappresenta una preoccupazione, anche se sappiamo perfettamente che in questa vicenda c’è un'agenzia delle Nazioni Unite che è in qualche modo sotto accusa rispetto al tema della sicurezza - dichiarano le due organizzatrici - Noi siamo a testimoniare la piena solidarietà alle famiglie qualunque sia la decisione in udienza".
La vicenda -
L'ambasciatore italiano Luca Attanasio era stato vittima del triplice omicidio avvenuto il 22 febbraio 2021 in Congo, in cui avevano perso la vita anche il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo. Sei congolesi erano stati processati per omicidio, associazione a delinquere e detenzione illegale di armi e munizioni da guerra. Durante le udienze, i criminali erano stati descritti dall’accusa come componenti di una "banda criminale" dedita ai saccheggi di strada, che inizialmente voleva rapire l’ambasciatore a scopo di riscatto ma poi l’aveva ucciso assieme ai due suoi collaboratori.