L'opinione

Nicolò Govoni: "La scuola italiana è obsoleta, bisognerebbe riformarla”

Parla a Tgcom24 l’attivista per i diritti umani candidato al premio Nobel per la pace nel 2020: “Gli episodi avvenuti nelle scuole italiane non mi stupiscono. Ma i buoni esempi non mancano”

di Tamara Ferrari

Insegnanti assenteisti. Studenti che sparano in classe con pistole ad aria compressa. Che cosa succede nelle scuole? “Sono episodi gravi, ma il sistema scolastico italiano è così obsoleto che questi fatti non mi stupiscono”. A parlare dal Kenya a Tgcom24 è Nicolò Govoni, l'attivista per i diritti umani fondatore di Still I Rise, la prima organizzazione no-profit a offrire il baccalaureato internazionale ai profughi. 

Per il suo impegno per i più poveri e fragili, iniziato dieci anni fa, nel 2020 Nicolò è stato nominato al Premio Nobel per la Pace. “Nelle scuole italiane non tutto è da buttare, comunque. I buoni esempi ci sono”, aggiunge, ”io, per esempio, sono stato salvato da una insegnante speciale”.

In che senso, salvato?
“Ero un ragazzo difficile. Ho avuto un’adolescenza turbolenta. Sono stato bocciato due volte. Ad aumentare il mio disagio c’erano le frasi che mi dicevano gli insegnanti: 'Non sei nessuno', 'Sei una nullità', 'Finirai a vendere merendine'. Fino a quando, dopo avere cambiato scuola, ho incontrato Nicoletta, un'insegnante di italiano che ha avuto fiducia in me, ha fatto quel passo in più che nessuno fino ad allora aveva voluto fare, perché non si è pagati per questo. Nicoletta è stata l'errore nella matrice in un ambiente dove la cura dell'essere umano non è richiesta”.

Sembra di capire che lei non abbia una grande stima della scuola italiana.
“Molti studenti sono vittime di abusi. Il mio disagio era comune a quello di tanti ragazzi. Non a caso, quando racconto la mia storia, migliaia di persone spontaneamente condividono esperienze simili sotto i miei post sui social network. La scuola italiana è disfunzionale, è una delle peggiori dell'Unione Europea. Non sono io a dirlo, ma le statistiche. Il tasso di abbandono scolastico è alto: uno studente su sette non arriva al diploma. Solo il 50 per cento raggiunge le competenze matematiche e linguistiche. Il livello di soddisfazione è inferiore al 50% e gli studenti italiani sono ai primi posti al mondo tra quelli che soffrono di più di ansia. Quanto ai docenti, il 75% non frequentato corsi di formazione. L'Italia è al ventunesimo posto nel mondo per investimenti nella scuola”.

Da qui a parlare di abusi il passo è lungo.
“Quando ti senti ripetere che sei un fallimento, una delusione, un buono a nulla, poi ci credi. Io ero arrivato a non avere più sogni. L’insegnante Nicoletta mi ha incoraggiato a credere in me. A 19 anni sono andato a fare volontariato in India. Quel viaggio ha cambiato la mia vita”.

Che cosa è successo?
“Ho lavorato in un orfanotrofio. Avrei dovuto rimanerci per pochi mesi, mi sono fermato quattro anni. L’idea di lasciare i bambini mi faceva stare male. Per fare questa esperienza avevo pagato circa mille euro a una organizzazione. All’orfanotrofio, però, arrivavano meno di 3 euro al giorno. A colpirmi è stato il fatto che giovani come me potevano andare a insegnare ai bimbi poveri semplicemente comprando un pacchetto. Dopo che ho deciso di restare, mi sono iscritto all’università e laureato in giornalismo”.

Poi cosa è successo?
“Sono tornato in Italia. Avrei dovuto fare un master a New York, ma è esplosa la guerra in Siria. Sull’isola di Samos, in Grecia, c’era un’emergenza migranti. Ho mollato tutto e sono andato lì. Le condizioni nell’hotspot erano terribili: c’erano 7.500 persone in una struttura che era fatta per accoglierne 650. Per nove mesi, insieme ad altri volontari abbiamo fatto del nostro meglio per aiutare queste persone. Vedendo che le cose andavano sempre peggio, abbiamo fatto un sacco di denunce. La prima, contro l'amministrazione dell'hotspot, per crimini contro l'umanità e abuso di minori. Poi abbiamo aperto la nostra prima scuola di emergenza, dove abbiamo accolto i bambini e gli adolescenti del campo profughi offrendo non solo istruzione, ma anche cibo e protezione dell'infanzia. Still I Rise è nata così, con l’aiuto di altre due volontarie, Giulia e Sara. La prima insegnante e la seconda logopedista”.

Che cosa fa con la sua organizzazione?
“Abbiamo sviluppato un nuovo approccio all'educazione, una pedagogia dell'emergenza che ci ha portato a ottenere risultati molto soddisfacenti. In seguito abbiamo aperto scuole in Siria, Kenya e Congo. Stiamo per aprirne una anche in Colombia. Abbiamo anche progetti nelle scuole italiane”.

E' vero che offrite il Baccalaureato internazionale, una qualificazione di scuola secondaria superiore valida per l'ammissione universitaria in più di 80 Paesi del mondo, agli studenti rifugiati? Come ci siete riusciti?
“Nel 2018 sono stato chiamato a insegnare per tre giorni alla scuola americana di Milano. E’ un istituto di elite, molto costoso. L’approccio è completamente diverso rispetto alla scuola pubblica. I bambini lì vengono incoraggiati a una visione positiva del mondo e delle loro capacità. Gli insegnanti erano tutti super appassionati, creativi, brillanti. Parlavi con i dodicenni e ti sembrava di parlare con ragazzi di vent’anni. Questo perché c'è un diverso modo di intendere la scuola, dove lo studente è al centro e il percorso scolastico è un'esperienza che deve essere innanzitutto felice. Tutto il contrario di quello che accade nella scuola pubblica, dove lo studio è equiparato a penitenza e si crea una generazione di adulti che non vogliono imparare. Uscito da quell'esperienza, mi sono detto che bisognava fare in modo che tutti potessero accedere a questo tipo di scuola. Nel 2021 abbiamo ricevuto il via libera per il Baccalaureato internazionale nella scuola in Kenya”.

Quindi, voi offrite gratuitamente lo stesso tipo di istruzione che si riceve nelle scuole super esclusive?
“Certo, chiaramente in strutture che nulla hanno a che vedere con i loro palazzi con campi da tennis e piscine”.

Nel 2020 lei è stato candidato al Nobel per la pace. I suoi genitori che cosa le hanno detto? 
“Ovviamente sono orgogliosi. Mia mamma all'inizio era un po' contrariata da queste mie scelte, era impaurita. Ci ha messo un po' ad accettare il mio primo viaggio in India. Quando ho deciso di non andare a fare il master a New York per restare sull'isola di Samos, mi ha chiesto: ‘Sei impazzito?’. Papà è sempre stato più di supporto. Dopo dieci anni, lei è venuta in Kenya, ha visto la nostra scuola più volte, le remore iniziali sono un po' sparite. Anche se devo dire che ogni volta che succede qualcosa di grave in Africa, mi chiede: 'Tu non hai intenzione di tornare a vivere in Italia, vero?'". 

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