Cosmetici ipoallergenici, prodotti farmaceutici e alimenti funzionali in grado di contrastare lo stress ossidativo responsabile di molte patologie. Sono queste alcune delle principali applicazioni della chitina e del chitosano, due sostanze ottenute principalmente dalle ‘armature’ degli artropodi (come crostacei e insetti) e dalla parete cellulare dei funghi. Queste due macromolecole composte di carboidrati, che alimentano un giro d’affari del valore di quasi 4 miliardi di dollari l’anno, con la previsione di arrivare a 12 miliardi entro il 2027, sono messe in evidenza in uno nuovo studio ENEA pubblicato sulla rivista open access Clean Technologies and Recycling.
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“Questa nuova pubblicazione rappresenta uno strumento di conoscenza che ci permetterà di inaugurare entro l’anno una nuova linea di attività incentrata, in una prima fase, sull’estrazione di chitina da scarti di crostacei come gamberetti e granchi, da insetti e funghi. Successivamente ci occuperemo della produzione di chitosano che trova già applicazione in numerosi ambiti -dall’industria chimica e agrochimica a quella medica, farmaceutica, cosmetica e alimentare - grazie alle sue proprietà uniche di biocompatibilità, biodegradabilità, basse tossicità e allergenicità”, spiega Alessandra Verardi, ricercatrice del Laboratorio Bioprodotti e Bioprocessi presso il Centro di Ricerca ENEA Trisaia, in Basilicata e coautrice dello studio insieme a Paola Sangiorgio, Stefania Moliterni, Simona Errico, Anna Spagnoletta e Salvatore Dimatteo. Le attività di valorizzazione di questi scarti saranno condotte anche attraverso la collaborazione dei colleghi di laboratorio presso il Centro Ricerche ENEA di Portici e dell’Università della Calabria (Laboratorio di Fenomeni di Trasporto e Biotecnologie).
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La sfida del team di ricerca è di arrivare a una produzione di chitosano sostenibile, a basso costo e su scala industriale, da impiegare principalmente come delivery system per il trasporto e il rilascio di sostanze antiossidanti, come i polifenoli e carotenoidi estratti anch’essi da scarti agroindustriali, preservandone e potenziandone le proprietà benefiche. Con una produzione di circa 15 milioni di tonnellate l’anno a livello mondiale (da acquacoltura e pesca) e un contenuto di chitina fino al 40%, i crostacei rappresentano la principale fonte di estrazione di questa macromolecola. “Ma la nostra ricerca punterà a sfruttare anche risorse alternative come insetti e alcune varietà di funghi che stanno attirando l’interesse dell’industria. Per tali fonti, infatti, l’estrazione di chitina - la biomassa naturale più abbondante dopo la cellulosa con una produzione annua di oltre 100 miliardi di tonnellate - può essere condotta in condizioni più blande, con un conseguente aumento della sostenibilità di processo”, sottolinea la ricercatrice ENEA. Attualmente, invece, il trattamento convenzionale più utilizzato comporta un elevato impatto ambientale, mentre metodi alternativi sono rispettosi dell’ambiente ma caratterizzati da elevati costi di processo che ne limitano la scalabilità.