Il Perugino e Alberto Burri, due artisti lontani nel tempo ma più vicini di quanto si possa immaginare, vengono messi in dialogo nella mostra "Nero Perugino Burri" ospitata da Palazzo Baldeschi a Perugia fino al 2 ottobre (e prorogata fino al 7 gennaio). L'esposizione, allestita in occasione del Cinquecentenario dalla morte di Pietro Vannucci, mette in relazione le opere di due tra i più grandi artisti umbri attraverso il loro comune denominatore: il nero, una soluzione cromatica suggestiva e peculiare adottata da entrambi.
Il Perugino, pseudonimo con cui è noto Pietro Vannucci, e Alberto Burri sono cronologicamente distanti: il primo ha vissuto tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo, l'altro è nato nel 1915 e morto nel 1995. In mezzo circa 450 anni di storia, eppure il loro legame tra i loro capolavori è fortissimo e i parallelismi numerosi. Ad accomunarli l'interesse per la loro terra, l'Umbria, fonte di ispirazione per entrambi, ma non solo. L'utilizzo del nero, un colore problematico, spesso evitato dai pittori, è usato sapientemente dai due grandi artisti protagonisti dell'esposizione. Per l'epoca del Perugino rappresenta un'innovazione, che lui sperimenta per dare risalto ai protagonisti della scena in un modo mai visto prima. Per Alberto Burri invece è uno dei tratti ricorrenti delle sue opere, nelle quali viene inteso sempre non come mancanza di colore, ma come buio che permette alla luce di emergere.
Le opere del Perugino in mostra -
L'idea della mostra nasce dall'opera del Perugino la Madonna con il Bambino e due cherubini, una tavola dal sapore intimo e familiare conservata nella collezione permanente di Fondazione Perugia, che ritrae la Vergine con il bambino. Le figure si stagliano su uno sfondo completamente nero, cosicché gli incarnati e i colori delle vesti di risaltino in un modo assolutamente innovativo per l’epoca. L'artista, in questi anni, è influenzato dalla pittura fiamminga, da Leonardo, ma anche dall'atmosfera di Venezia. Le opere esposte a Palazzo Baldeschi, tutte di piccolo formato e datate a cavallo tra il XV e il XVI secolo, comprendono tra le altre Ritratto di Francesco delle Opere e il Ritratto di giovinetto, provenienti dalla Galleria degli Uffizi, la Madonna con Bambino tra San Giovanni e Santa Caterina del Museo del Louvre. In tutte queste, lo sfondo non è caratterizzato da un paesaggio ideale o da architetture, ma solo dal profondo nero su cui si stagliano i protagonisti della scena.
I capolavori di Alberto Burri -
In dialogo con le tavole del Perugino ce ne sono una decina di Alberto Burri. Grande ammiratore e conoscitore dell’arte italiana del Rinascimento, l'artista ha tratto ispirazione dall'Umbria, la sua terra d'origine a cui è particolarmente legato. Le sue radici si rivelano e trovano conferma nelle forme, nei colori e nelle composizioni delle opere, da Catrame del 1949 a Nero Cellotex del 1968. Qui la materia emerge prepotente dalla tela e l'attenzione è posta tutta sull’equilibrio tra forma e colore, con una predilezione per il nero e lo scuro, tratto diventato emblematico dell’artista tanto da essere soprannominato “il maestro dei neri”. Le opere di Burri instaurano così una peculiare dialettica con le tavole del Perugino: se nel Quattrocento il fondo nero serviva a far risaltare il soggetto principale dell’opera, in Burri il nero è protagonista e diventa materia viva che si espande ed emerge.
La mostra -
Nata da un’idea di Fondazione Perugia e realizzata in collaborazione con Fondazione Burri, l’esposizione è curata dalla storica dell’arte Vittoria Garibaldi e dal Presidente di Fondazione Burri, Bruno Corà. "Il nero è pieno di possibili valenze simboliche. È un colore azzerante e difficile da usare, capace di isolare qualsiasi forma o immagine che gli sia avvicinata, così come la può rendere emblematica. È un colore che suscita molte domande e tocca il sentimento in profondità" ha sottolineato Corà, presidente di Fondazione Burri. "L’intuizione di mettere a confronto i due maestri si è sviluppata a partire dal desiderio di valorizzare, in occasione del Cinquecentenario, il gioiello più prezioso della collezione d’arte di proprietà della Fondazione: la tavoletta del Perugino Madonna con il Bambino e due cherubini. Da qui ha avuto origine il percorso, che inizialmente doveva essere dedicato al solo Pietro Vannucci e che, successivamente, ci ha condotto, grazie alla competenza dei curatori, a una mostra originale che rappresenta una vera novità nel panorama espositivo" ha concluso la Presidente di Fondazione Perugia, Cristina Colaiacovo.
AGGIORNAMENTO: La mostra è stata prorogata fino al gennaio