L’autostima si costruisce anche per mezzo delle parole che usiamo quotidianamente. Scusarsi di continuo, fare una domanda premettendo di non essere ferrati in quel campo, rinunciare a esprimersi se non otteniamo subito l’attenzione del gruppo sono tutti modi in cui, già a parole, facciamo del male a noi stessi. Anche se abbiamo la convinzione che, in fondo, si tratti solo di gentilezza nei confronti di chi ci sta vicino, in realtà si tratta di atteggiamenti che finiscono per sminuirci agli occhi di chi ci circonda e, soprattutto, dei nostri.
ESSERE CONSAPEVOLI DEL PROPRIO VALORE – Due frasi “killer” per la nostra autostima sono “scusami” ripetuto troppo di frequente, e “non fa niente”, o “non importa”, quando una nostra proposta non viene ascoltata e siamo invitati a ripeterla dopo qualche minuto. Perché dobbiamo scusarci se chiediamo la parola? E perché mai dobbiamo rinunciare a esporre il nostro pensiero, quando finalmente riusciamo a ottenere un briciolo di attenzione? Scusarsi troppo spesso finisce per irritare chi ci ascolta, mentre nascondersi dietro un “non fa niente” o “era solo una sciocchezza” invece di esprimere per intero la nostra proposta, quando finalmente tocca a noi parlare, trasmette l’idea che, realmente, non abbiamo un’opinione o non siamo in grado di formulare un progetto. Lo stesso vale per espressioni come “Scusate la domanda stupida, ma…” oppure: “Perdonami se ti disturbo, ma dovrei chiederti una sciocchezza…” sono altre espressioni di auto-svalutazione che finiamo per usare troppo spesso e che ci fanno partire con il piede sbagliato se cerchiamo di conquistare la considerazione altrui.
LA GENTILEZZA NON C’ENTRA – Spesso, dietro a queste formule di auto-svalutazione, sta il desiderio di accostarci a un gruppo in modo “soft”, senza aggressività e senza apparire saccenti. In realtà, se le pronunciamo con troppa frequenza, finiamo per ottenere l’effetto opposto e, con il passare del tempo, può accadere che incidano sul nostro modo di percepire noi stessi. Jenny Messerle, autrice del libro di auto-aiuto "I am a golden Buddha. A journey from self criticism to inner peace", nel quale insegna a trasformare gli atteggiamenti di autocritica in una vita di auto-apprezzamento e di pace interiore, elenca le parole auto-svalutanti usate inconsapevolmente con maggiore frequenza, ad esempio, dagli adulti sul luogo di lavoro e dai ragazzi a scuola. Tra le più ricorrenti ci sono: "Ho una domanda stupida”, “Ho una piccola richiesta”, “Questa potrebbe essere una domanda/idea sciocca”. Seguono “Ho bisogno di un po’ del tuo tempo”; “Ho preso solo un voto medio all’esame/test/interrogazione”; “Non sono bravo in matematica”. Spiega Messerle: “Circa dieci anni fa mi sono resa conto che stavo danneggiando l’immagine che avevo di me stessa dal modo in cui usavo e interpretavo parola specifiche. Per costruire la mia autostima, ho creato un piano per prendere coscienza e sostituire le frasi che mi sminuivano. Quando ho cambiato il modo in cui parlavo e pensavo, la mia autostima è migliorata”. La gentilezza in questo caso non è in discussione: non si tratta solo di trovare un approccio all’altro che gli lasci spazio e ci presenti in modo non aggressivo: in questo caso stiamo cedendo all’altro una quota di spazio e di considerazione che appartiene a noi con un atto che finisce per sminuirci. L’aggressività eccessiva, però, è a sua volta una forma di auto-svalutazione: l’equilibrio, come sempre, sta nel mezzo, nella capacità di ascoltare e di capire quando è la propria volta di parlare, omettendo quelle forme di cui sopra, o utilizzandole in modo molto contenuto.
PARLARE POSITIVO – Il modo in cui parliamo deriva dal nostro modo di pensare, ma nello stesso tempo, lo condiziona. Gli studiosi di psicologia e comportamento sono ormai concordi nel sostenere che utilizzare un linguaggio positivo ci aiuta a migliorare la percezione che abbiamo di noi stessi: le parole che scegliamo possono addirittura modellare e trasformare i rapporti che intratteniamo e la realtà che ci circonda. Se, ad esempio, alzandoci al mattino, continuiamo a ripetere a noi stessi che ci sentiamo stanchi, la fatica che avvertiamo ci sembrerà insormontabile. Troviamo un modo per esprimere il concetto in modo alternativo, ad esempio "Oggi è dura, ma ce la posso fare!”, oppure: “Oggi devo trovare un momento per prendermi una pausa". Quando in ufficio viene il nostro turno di parlare, invece di replicare con un “Non importa, era solo una sciocchezza” oppure: “Ne avete già parlato, quindi non fa niente”, proviamo con: “Concordo pienamente con il collega, ma aggiungerei che…”, oppure esprimiamo il nostro pensiero senza premesse. E quando qualcuno ci ringrazia per l’aiuto o si complimenta con noi per un’idea brillante, non commentiamo con “È stata una sciocchezza, in fondo non ho fatto nulla”, ma accettiamo il complimento e limitiamoci a un “Grazie, è stato un piacere essere utile”.