Come far arrivare il Mississippi nel deserto del Sahara? Ci pensano i Tinariwen, leggendario collettivo musicale tuareg proveniente dal Kidal, nell’estremo nord del Mali al confine con l’Algeria. Negli anni la band formatasi sulle sabbie sahariane ha dato voce e megafono alla lotta di una generazione alla ricerca della sua identità, nonostante le minacce dei fondamentalisti islamici che si oppongono alla musica e all'arte. E il titolo del loro nuovo album, "Amatssou", è proprio un invito (in lingua tamashek) ad andare avanti "oltre la paura". Qui musicalmente il loro blues del deserto si incrocia con la musica country dell’America rurale. Un "incontro" e un legame musicale che la band ha raccontato a Tgcom24 e che presenterà in Italia lungo tre date.
Tuareg -
I Tinariwen sono sempre stati caratterizzati dal loro grande coraggio, e come disse una volta Bob Dylan, è il potere del rock'n'roll che ci rende "dimentichi della paura" come la musica ci dà la forza e la resilienza per confrontarci con le avversità. La cultura tuareg è antica quanto quella dell'antica Grecia o di Roma, e fondendo gli stili tradizionali dell'Africa occidentale e quella araba, con influenze blues, country, folk e rock, le canzoni di "Amatssou" finiscono per parlare della realtà attuale e dura della vita tuareg di oggi.
Il tour -
I Tinariwen tornano in Italia per esibirsi a Firenze mercoledì 14 giugno all’Anfiteatro Ernesto De Pascale, il giorno dopo a Milano presso la Triennale e infine a Torino venerdì 16 giugno all'Hiroshima Mon Amour.
Il nuovo album -
Nei due decenni trascorsi da quando i Tinariwen sono fuoriusciti dal deserto africano per girare il mondo, hanno avuto modo di fare la conoscenza di molti rinomati musicisti country, folk e rock americani, tra cui Kurt Vile, Cass McCombs, Micah Nelson (figlio di Willie Nelson), Cat Power, Wilco, Bon Iver e Jack White. La storia del loro nono album "Amatssou" inizia nel 2021 quando proprio Jack White li invitò per una session a Nashville nel suo studio di registrazione privato. L'artista è un fan di lunga data e già aveva "prestato" ai Tinariwen il proprio ingegnere del suono Joshua Vance Smith per mixare l'ultimo album del gruppo, "Amadjar", nel 2019.
La gestazione -
Il piano iniziale questa volta era quello di volare verso gli Stati Uniti d'America per registrare con musicisti country locali e con il vincitore del Grammy e produttore Daniel Lanois (U2, Bob Dylan). I membri del gruppo erano già pronti a intraprendere il viaggio salvo poi dover rinunciare a causa della pandemia. I programmi furono così frettolosamente ridisegnati e Lanois accompagnato da un gruppo selezionato di musicisti country americani ha intrapreso il percorso inverso per l'Africa per lavorare con la band nel suo naturale contesto.
Così il disco è stato registrato in un campo in Mauritania sotto le stelle, a Djanet, un'oasi nel deserto dell'Algeria meridionale situata nel Parco Nazionale del Tassili N'Ajjer, un vasto altopiano di arenaria che è patrimonio mondiale dell'UNESCO. Lì tra rocce frastagliate e arenaria, hanno allestito uno studio improvvisato in una tenda. Ma durante la seconda fase della pandemia, Lanois ha poi contratto il Covid e il contingente americano è stato costretto a fare marcia indietro. Alla fine il disco viene finalizzato da Lanois dal suo studio di Los Angeles, mentre i musicisti country Fats Kaplin e Wes Corbett registrano le loro parti a Nashville e il percussionista di Cabilia Amar Chaoui registra la sua a Parigi.
Il titolo del nuovo disco è molto evocativo. Quale pensate sia la vostra missione politica come band?
Non ci consideriamo come un gruppo politico. Siamo solo dei musicisti che vengono dal Sahara e nelle nostri canzoni parliamo di ciò che ci tocca. Sono ormai 30 anni, la situazione del nostro popolo è molto problematica, quello che cerchiamo di fare è informare e sensibilizzare l'opinione su ciò che il nostro popolo patisce da decenni.
Com'è nato e si è sviluppato questo legame musicale tra deserto africano e america rurale che caratterizza il nuovo disco?
Io (Abdallah Ag Allouseyni), attraverso le nostre differenti tournée negli Usa, ho a poco a poco scoperto la musica country, principalmente facendo concerti a Nashville dove ho potuto scoprire la scena locale. Sono appassionato di chitarra e ho scoperto musicisti meravigliosi a Nashville. Il mio modo di suonare la chitarra è abbastanza vicino a quello stile di musica e facendo ricerche mi sono reso conto che in origine questa musica era suonata da nomadi sradicati come noi, i cowboy del far west che erano pastori come noi...
Com'è stato lavorare così distanti l'uno dall'altro, tra Algeria, Parigi, Nashville e Los Angeles? Come sono state le dinamiche creative di questi piccoli gruppo o singoli?
E' il nostro produttore che si è occupato di riunire questi collaboratori a distanza. Abbiamo registrato le basi dei pezzi ad Algeri nel deserto del Tassili e poi i brani sono stati inviati a Nashville, Parigi, Los Angeles. Ognuno ha contribuito in funzione della sua ispirazione e secondo noi il risultato è ben riuscito.
Come funziona essere un collettivo che è insieme da così tanto tempo, sostituendo anche alcuni componenti negli anni? Come componete e vi gestite?
Tutto accade in modo molto naturale. Incontriamo molti giovani musicisti nel nord del Mali o nel sud dell'Algeria o in Nigeria, tutti sono cresciuti con i Tinariwen. Durante i nostri spostamenti in Africa il gruppo non è per forza al completo, succede spesso che dei giovani musicisti ci accompagnino. E in funzione delle affinità e dei programmi di ognuno possiamo invitarli a registrare o a venire in tournée e se tutto va bene vengono integrati nel gruppo.