Il riscaldamento globale raccontato dal ghiaccio
Una spedizione alle isole Svalbard ha raccolto dei campioni di ghiaccio per comprendere meglio il fenomeno dell’amplificazione artica, ovvero i motivi per i quali queste zone si riscaldano molto più velocemente rispetto al resto del pianeta
Una campagna di ricerche condotta su uno dei ghiacciai più estesi ed elevati dell’arcipelago delle Svalbard, le isole del Mar Glaciale Artico a nord della Norvegia.
La spedizione del progetto Sentinel, nell’ambito della fondazione Ice Memory, ha il CNR, l’Università Ca’ Foscari di Venezia e l'Università degli Studi di Perugia tra i fondatori, e nonostante le difficoltà e le tempeste di neve si è chiusa dopo 23 giorni con un altro successo scientifico. Sono stati raccolti dei campioni di ghiaccio per comprendere meglio il fenomeno dell’amplificazione artica, ovvero i motivi per i quali queste zone si riscaldano molto più velocemente rispetto al resto del pianeta.
Come ha spiegato Andrea Spolaor, Ricercatore CNR-Istituto di Scienze Polari: “Se la media del riscaldamento globale è di circa 1-1,5°C ogni decade, alle Svalbard il riscaldamento è di circa 3-4°C. Quindi molto molto più veloce rispetto alla media globale. Questo porta a una serie di complicazioni, tra cui l’aumento di pioggia durante il periodo invernale e intromissioni di massa di aria calda sempre più repentine e sempre più frequenti. Tutta una serie di processi che stanno modificando l’ambiente stesso. Tra cui, ad esempio, anche la fusione del permafrost”.
Studiare l’Artico è ormai una necessità, considerando che è una delle regioni che cambia più velocemente a livello globale. E ciò che avviene qui è fortemente legato a quello che accade alle medie latitudini. Un primo campione di ghiaccio prelevato dalla terra più settentrionale d’Europa è stato analizzato per la scienza di oggi.
Un secondo per le generazioni future, garantendo cioè un archivio prezioso, giacché i ghiacciai delle Svalbard sono seriamente minacciati dal cambiamento climatico, come dimostra l’allarmante ritrovamento di cui ci ha raccontato Jacopo Gabrieli, Ricercatore CNR-Istituto di Scienze Polari: “A 124 metri di profondità ci siamo ritrovati in una situazione anomala, che è quella di avere in un ghiacciaio la presenza di acqua liquida. Questo significa che tutta l’area circostante fonde in maniera molto consistente durante il periodo estivo, l’acqua liquida inizia a percolare attraverso gli strati di neve e di firn fino ad arrivare al ghiaccio e qui si accumula. Dopodiché inizia a scorrere sotto il ghiaccio verso il fiordo, quindi verso valle. A questa quota di certo non pensavamo di poter trovare acqua liquida in questo ghiacciaio”.
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