IL FONDATORE DE "GLI UCCELLI"

Addio a Paolo Portoghesi, il ricordo di Martino Branca

Tgcom24 ospita le parole del fondatore de "Gli Uccelli", avanguardia del Movimento Studentesco della facoltà di architettura di Roma, che deve molto all'architetto recentemente scomparso

© Foto di Antonia Marmo per Vallopiù| Paolo Portoghesi

La morte di Paolo Portoghesi, tra i principali esponenti italiani del movimento postmoderno, ha lasciato un vuoto nella cultura italiana. Tra i tanti ricordi quello di Martino Branca, fondatore de "Gli Uccelli", avanguardia del Movimento Studentesco della facoltà di architettura di Roma. Il gruppo era formato da studenti situazionisti, che avevano a cuore il tema dell'individuo inscatolato dalla società borghese e dai suoi valori.

"Da giovane studente ho frequentato il primo corso universitario tenuto da Paolo Portoghesi, anche lui giovanissimo, a Valle Giulia. Si chiamava Letteratura Italiana, ma raccontava il '600 romano e Borromini. L'amicizia è nata qualche anno dopo, nel 1968. Allora ero parte de "Gli Uccelli", avanguardia del Movimento Studentesco della facoltà di architettura di Roma. Il Gruppo (in ordine di età: Martino Branca, Gianfranco Moltedo, Paolo Ramundo, Guido Menocci, Carlo Buldrini, Adriano Roccetti, Roberto Federici, Paolo Liguori) ha raggiunto una notorietà nazionale, e oltre, con la scalata e l’occupazione della Cupola della chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, la storica università di Roma. L’impresa, che ha portato per la prima volta il “Movimento” sulle prime pagine dei giornali, è stata resa possibile dalla generosa complicità di Paolo Portoghesi, in quel tempo incaricato responsabile del rilievo del monumento.

Dopo di allora l’ho visto saltuariamente, per lo più in occasione di eventi. Ci siamo reincontrati cinque anni fa, insieme con Paolo Ramundo e Gianfranco Moltedo. Il quotidiano La Repubblica ci aveva convocati nel cortile di Sant’Ivo per celebrare il cinquantenario della scalata. Ha avuto inizio in quel punto una frequentazione via via più convinta, che negli ultimi mesi è diventata regolare. Gli appuntamenti a Calcata cadevano spesso il lunedì mattina. Lo svolgimento ha sempre rispettato un cerimoniale: 
- attesa del nulla osta sulla soglia di casa,
- ingesso con igiene delle scarpe (durante il Covid),
- percorso del labirinto di piccoli ambienti (pochi mobili preziosi e libri alle pareti),
- arrivo allo studiolo con libri ovunque: alle pareti, sul tavolo intorno al computer Mac, sulle poltrone.

L’orario era di rigore: non oltre le 10,30, perché Paolo pranzava a mezzogiorno. Erano incontri cordiali, a volte seriosi, altre divertiti, con ironie e scherzi. Dapprincipio parlavamo del libro su Gli Uccelli, che stavo terminando. Mi consultavo con lui su tutto: lo stile, le conclusioni, le immagini, il titolo. Poi abbiamo preso a discutere dell’altro libro: il suo. Nell’autunno scorso, all’Archivio della Presidenza della Repubblica, aveva annunciato un nuovo libro su un tema sorprendente: la bellezza. La cosa mi aveva fortemente incuriosito e le mie domande sul contenuto dell’opera hanno finito per diventare una sorta di lunga intervista, durata dalla fine del 2022 a due settimane fa.

E’ stato un discorrere a tutto campo. Partito dalla durata del lavoro (quattro anni dedicati in buona parte a leggere le testimonianze storico filosofiche, da quelle su Pitagora in poi) lui ha preso poi a  spaziare su tutto: dalla preistoria all’arte concettuale, dall’Iliade alle avanguardie del’900, dal wabi-sabi giapponese all’Islam, da Heidegger a Holderlin, da Dostoeskij a Baudelaire, da Van Gogh agli Inni Omerici.

Col passare dei giorni il racconto si è fatto via via più drammatico, inclinando verso i problemi intrecciati dei comportamenti delle società umane e del loro rapporto scellerato col pianeta. In particolare si applicava all’illusione della tecnologia, che ci promette una natura dominata, nelle nostra disponibilità, quando invece è la natura a disporre di noi. Lamentava l’arroganza dei filosofi, che hanno sequestrato la bellezza per farla oggetto di una filosofia minore, l’estetica. Mentre gli artisti, che ne conoscono bene la potenzialità perché la maneggiano, scoprono verità sorprendenti e hanno capito che la bellezza consente all’uomo cose che altrimenti non potrebbe fare.

In mezzo ai parlari di società, di politica, di arte e scienza, di tanto in tanto ci prendevamo una pausa di ricreazione tornando al libro sugli Uccelli, per ricordare questa azione o quella, le reazioni degli altri, i pensieri e le emozioni della temperie del “68”. Ma poi tornava l’urgenza di confrontare la prospettiva di un recupero della bellezza con il pensiero debole della sinistra, tutto impegnato sui diritti individuali e per nulla su quelli collettivi. Oppure di prefigurare per l'umanità e il pianeta un futuro probabilmente tragico: .

Ci siamo visti l’ultima volta ai primi di maggio. Quel giorno, dopo un lungo e articolato preambolo sull’errore di Dostoevskij () ha concluso recitando a memoria l’Inno Omerico a Gea. Gli ho mandato un email dieci giorni fa, per parlargli del suo film di Borromini, ma non mi ha risposto.

Martino Branca