A Cannes 76 molti applausi per "Rapito" di Marco Bellocchio, primo film italiano in concorso per la Pala d'oro. "Ho scritto una lettera a Papa Francesco, spero abbia voglia di vedere il mio film", ha detto il regista alla presentazione della pellicola: "Ha tante cose ben più importanti da fare ma chissà che non trovi il tempo per una serata divertente, interessante, tra amici. Attendo." In sala dal 25 maggio il film è una bella pagina di storia (vera) italiana, quella del rapimento a Bologna nel 1858 del bambino ebreo Edgardo Mortara strappato alla sua famiglia e allevato da cristiano a Roma da Papa Pio IX, l'ultimo papa re. E intanto oggi grande attesa è per Nanni Moretti storico beniamino della Croisette, che torna con il suo "Il sol dell'avvenire".
"Rapito" -
Raccontata con la solita eleganza di Bellocchio e ambientata in un tempo, non troppo lontano, quando tra ebrei e cattolici non correva affatto buon sangue e quest'ultimi definivano i primi: "quei maledetti che hanno ucciso Cristo", la storia di "Rapito" è quella di un rapimento, un altro rapimento dopo quello di Aldo Moro, scandagliato a fondo dal regista in "Buongiorno Notte" ed "Esterno Notte", e che non è forse solo casualità. "I due rapimenti pur ovviamente su piani diversi", ha detto Bellocchio all'ANSA: "sono accomunati dalla cecità ideologica dei dogmi, quell'intransigenza che non ammette compromessi e deroghe. È accaduto con Moro e con Mortara. Sono atteggiamenti violenti che portano solo tragedie alla società".
La seconda giovinezza di Bellocchio -
"Qui al festival non avevo mai ricevuto premi tranne la Palma d'oro d'onore, se non mi danno niente anche questa volta non cambia molto, e se invece capita lo accetterò, mi interessa invece che vada bene in sala" dice il regista, che è tornato su un set difficile, come sono tutti quelli in costume, e che sembra vivere una seconda giovinezza. "C’è chi alla mia eta' pensa di correre in modo compulsivo per non perdere quel tempo che forse mancherà, io continuo a lavorare solo su progetti che mi piacciono, mi convincono e mi coinvolgono"
La trama -
Siamo esattamente nel 1858 nel quartiere ebraico di Bologna, quando i soldati di Papa Pio IX (Paolo Pierobon) irrompono nella casa della famiglia ebrea dei Mortara. Per ordine del cardinale, queste guardie dello Stato Pontificio sono li per prendere Edgardo (Enea Sala da bambino e Leonardo Maltese da ragazzo), il figlio di sette anni dei Mortara. Motivo di questo rapimento? Secondo le dichiarazioni di una ex domestica della famiglia, Anna Morisi, donna molto semplice e pia, il bambino sarebbe stato segretamente battezzato da lei all’età di sei mesi perché, essendo malato, immaginava potesse morire. "Non volevo che Edgardo potesse finire al limbo" confesso' la donna all'inquisitore tutto d'un pezzo interpretato da un metallico Fabrizio Gifuni. In questi casi la legge papale era inappellabile: il bambino, se battezzato, doveva ricevere un'educazione cattolica. I genitori di Edgardo ovviamente faranno di tutto per riavere il figlio, sostenuti dall'opinione pubblica e dalla comunità ebraica internazionale che sollevo' un vero putiferio. Ma Pio IX, ammantato da un feroce integralismo, almeno cosi' ce lo racconta Bellocchio, non accetta di restituire il bambino e anzi tratta con disprezzo, fino a minacciarla, una rappresentanza di ebrei bolognesi che sosteneva la causa dei Mortara. Non solo in una delle scene piu' forti del film di fronte a un intemperanza di un Edgardo adolescente, Pio IX gli impone di leccare tre croci sul pavimento.
Edgardo Mortara cresce nella fede cattolica in un collegio con altri bimbi ebrei rapiti, educato sotto la stretta sorveglianza di papa Pio IX, l'ultimo papa re di Roma, travolto poi dalla breccia di Porta Pia del 1870. Viene talmente indottrinato da diventare un predicatore cattolico per tutta la sua vita a costo di rompere ogni legame con la famiglia di origine. Morirà l'11 marzo 1940 a Liegi, dopo aver passato diversi anni in un monastero ottanta anni dopo la presa di Porta Pia e la caduta del potere temporale della Chiesa.
La ferita aperta tra ebrei e cattolici -
Quella che racconta Bellocchio è una ferita ancora aperta nei rapporti tra ebrei e cattolici, basti pensare che nel 2000 la beatificazione di Pio IX da parte di Papa Wojtyla non manco' di suscitare polemiche. In quell'occasione la comunita' ebraica, guidata dai discendenti della famiglia Mortara, protestarono con forza per la beatificazione di un Papa considerato da loro antisemita. In Italia la vicenda e' stata raccontata da Daniele Scalise, prima in un saggio, "Il caso Mortara", e ora in un romanzo inspirato alla vicenda in libreria col titolo "Un posto sotto questo cielo". E non finisce qui. Steven Spielberg da circa dieci anni ha in mente di realizzare il suo "The Kidnapping of Edgardo Mortara" di cui esiste gia' una sceneggiatura di Tony Kushner tratta dal saggio di David Israel Kertzer del 1998 (Prigioniero del Papa Re).
Il rapporto stretto, quasi una lotta di tutta la vita, tra Bellocchio e il cattolicesimo (raccontato ad esempio nel magnifico "L'ora di religione" 20 anni fa e sottinteso in "Marx può aspettare") non lo esime dal desiderare di mostrare la sua opera "Rapito" alle religioni coinvolte. Da qui la lettera al Papa.
"Alcuni sacerdoti hanno visto Rapito ed erano emozionati e pensierosi, ma il feedback piu' notevole e' stato quello dei capi ebrei che pure lo hanno visto in anteprima... loro alla fine erano molto commossi, mi ha fatto piacere".
Nanni Moretti -
Seconda giornata di gloria per i colori italiani al festival con Nanni Moretti, storico beniamino della Croisette che tutti in Francia attendono al grande ritorno con "Il sol dell'avvenire" con il regista stesso come protagonista e Margherita Buy, Silvio Orlando, Jerzy Stuhr, Mathieu Amalric.
La trama -
Un regista che racconta una storia lontana nel tempo (le sezioni del PCI al tempo dell'invasione dell'Ungheria, 1956), ne scrive un altro, ne sogna forse un terzo. Il lato buffo del "fellinismo" morettiano, la sua utopia politica nel segno dell'ucronia. E se tutto fosse andato diversamente?
Moretti torna Moretti -
Il film è un ritorno al Moretti che conosciamo e che divide (e continuerà a farlo), tra chi lo ama e chi lo odia. Un ritorno alla propria filmografia e a un’idea politica. E torna tutto il Nanni che fu, che è e che probabilmente sarà. Il suo moralismo sull'etica estetica del cinema, il metaracconto del film nel film, l’odio per le parole straniere usate con ostinazione e ostentazione (come in Palombella rossa"), il fastidio per i nuovi registi che usano la violenza con banale semplicità (in "Caro diario" prendeva di mira "Henry, pioggia di sangue". Poi ci sono le passioni per il cantare a squarciagola, l'esegesi sulle pantofole in casa (già visto in "Palombella Rossa"), la coperta sul divano (già presente in "Sogni d'oro"), il gelato, il rito di vedersi "Lola" di Jacques Demy ogni volta che inizia a girare un nuovo film, i palleggi con il Tango (come in "La messa è finita"), i circensi ungheresi che si chiamano Budavari, come il campione pallanuotista di "Palombella rossa". E non manca anche una tirata contro le piattaforme streaming. I temi che percorrono il film sono tanti, tantissimi e mescolati, proprio come nelle nostre vite di tutti i giorni.