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Alone in the Dark: quando l’orrore dei videogame divenne tridimensionale

Ricordiamo il padre dei moderni survival horror, tra zombi e le influenze di H.P. Lovecraft

Ufficio stampa

Tra i numerosi rifacimenti di Resident Evil, il ritorno di Silent Hill e diversi altri giochi dell'orrore in uscita nei prossimi mesi, è un momento particolarmente interessante per i patiti di questo genere di videogame. Perché non cogliere l’occasione, dunque, per ricordare quello che a tutti gli effetti rappresenta il capostipite dei più moderni videogiochi horror? Questa è la storia di Alone in the Dark, uno dei giochi più importanti per gli amanti del retrogaming.

Durante l’epoca dei sistemi a 8 e 16 bit pochi videogame riuscirono a fornire una valida sensazione di orrore e inquietudine, come Uninvited, Project Firestart o Clocktower. Il salto di qualità per questo genere di giochi avvenne però nel 1992, quando Infogrames pubblicò sui personal computer dell’epoca il succitato gioco a firma del designer Frédérick Raynal.

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Uno di quei giochi che sin dalla primissima anteprima sulle riviste dei primi anni ‘90 riuscì a creare il cosiddetto "hype" che lo accompagnò fino al momento della sua uscita: in un mondo che si stava rapidamente stabilizzando sui videogame in tre dimensioni guardare quelle immagini di personaggi poligonali che si aggiravano in ambienti effettivamente 3D era, in una parola, rivoluzionario.

Ispirato alle opere di Howard Phillips Lovecraft (padre del famoso "Ciclo di Cthulhu"), il gioco ci porta nella Louisiana degli anni '20 per indagare sull’apparente suicidio di Jeremy Hartwood, un famoso artista che si è impiccato nella soffitta della sua villa chiamata Derceto. Nei panni di uno dei due protagonisti selezionabili (l'investigatore paranormale Edward Carnby o la reporter Emily Hartwood) arriviamo alla villa per investigare sull’accaduto, venendo così catapultati in un incubo fatto di zombi, oscuri sotterranei e antiche divinità.

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Quello che colpì nel 1992 fu l’impianto grafico di Alone in the Dark, con personaggi interamente tridimensionali che si spostano, tramite una serie d'inquadrature predefinite, su dettagliati fondali 2D, una formula che, guarda caso, verrà ripresa integralmente qualche anno più tardi da un certo Resident Evil. Questa rivoluzionaria impostazione ha permesso al team di sviluppo di piazzare il giocatore al centro dell’azione e dell’esplorazione, scatenandogli contro creature poligonali convincenti nel loro avanzare minaccioso e permettendo anche d'implementare qualche scena d’effetto, come ad esempio mostri che all’improvviso entrano dalle finestre in modo molto "cinematografico".

I salti sulla sedia erano dunque assicurati e venivano vissuti dai giocatori in modo nuovo e che rimaneva impresso. Anche l’audio del gioco ha contribuito al suo grande successo, con un sapiente uso degli effetti sonori utili per individuare le minacce fuori campo e la giusta quantità di musiche (composte da Philippe Vachey) a sottolineare specifici passaggi della trama. Completano il maestoso quadro un’esplorazione non-lineare di villa Derceto e alcune interessanti scelte di game design (come munizioni molto limitate e gestione dell’inventario che richiede scelte ponderate) che contribuiscono a mantenere alta la tensione del giocatore.

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Un gioco importante sia per la svolta che è stato capace a dare ai survival horror, sia per la spinta commerciale fornita alle schede video accelerate, necessarie per godersi al meglio le avventure: anche per questo parliamo di uno dei videogame più influenti della storia, un vero e proprio classico del retrogaming.

Alone in the Dark è un grande successo di vendite e critica, viene successivamente convertito per diversi formati e riceve due seguiti diretti e un paio di "reboot" più o meno riusciti, mentre un nuovo capitolo è attualmente in fase di sviluppo e dovrebbe uscire su PC e console nel 2024.

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