In Italia, nel 2021, solo il 26,8% delle persone tra i 30 e i 34 anni risulterebbe in possesso di un titolo di studio terziario. Mentre in Europa, la media è del 41,6%. Inutile dire che c’è ancora parecchia strada da percorrere, per il nostro Paese, prima di giungere all’obiettivo fissato dalla UE: almeno il 45% entro il 2030, per i giovani tra i 25 e i 34 anni. Tenendo conto anche del forte divario presente all’interno alla nostra stessa nazione: al Nord e al Centro la quota di maggiormente istruiti raggiunge il 30%, mentre nel Mezzogiorno ci si ferma al 20,7%. A fare una panoramica della situazione sono stati Istat ed Eurostat, che hanno messo a confronto percentuali e numeri e, nel contempo, hanno suggerito come leggerli correttamente. Perché se è vero che sui titoli dei giornali si legge spesso che "in Italia i laureati sono pochi rispetto al resto d’Europa" è anche vero che, come spiega Skuola.net, in realtà l’educazione terziaria non comprende solo gli studi universitari.
Il problema nasce dalla scuola -
E’ comunque fuor di dubbio che il livello d’istruzione del nostro Paese sia inferiore rispetto alla media UE, anche se osserviamo altre fasce d’età. Se allarghiamo lo sguardo, infatti, nel 2021 era il 62,7% dei 25-64enni ad avere almeno un diploma di scuola secondaria superiore in Italia, contro il 79,3% della media UE27. Il differenziale con alcuni Paesi di riferimento è ancora più netto: ne è un esempio l’84,8% della Germania e l’82,2% della Francia. Tornando, invece, agli studi universitari o a questi assimilabili, tra i cittadini italiani tra i 25 e i 64 anni la percentuale di laureati crolla al 20,0%, risultando anche in questo caso più bassa della media europea (33,4%). Corrispondendo, inoltre, circa alla metà di quella registrata in Francia e Spagna (40,7% in entrambi i Paesi).
L’importanza dei corsi professionalizzanti -
Tuttavia, come detto, quando parliamo di “laureati” dobbiamo pensare che, in realtà, il conto comprende anche chi ha un titolo di studio equivalente alle lauree triennali e magistrali. A erogarlo sono, ad esempio, i corsi a ciclo breve professionalizzanti post diploma - da noi, gli Istituti Tecnici Superiori del sistema ITS Academy - molto diffusi proprio in quei territori, come Francia e Spagna, che spesso “ci superano”. Nei numeri appena visti, poi, vengono compresi anche i dottorati (PhD). Il ritratto del nostro Paese nei confronti dei nostri “parenti” europei cambia notevolmente proprio se teniamo conto di questo fattore.
Infatti, nel periodo analizzato, il 60,4% degli oltre due milioni di studenti italiani iscritti a un percorso di istruzione terziaria seguiva un corso di laurea triennale, il 37% un corso di laurea magistrale e l’1,6% un dottorato. Solo l’1% risultava iscritto a un corso professionalizzante tipo ITS. Se guardiamo ai numeri assoluti, e ci concentriamo sull’università, le percentuali corrispondono a 1 milione e 227 mila studenti impegnati in un corso di laurea triennale e circa 752 mila iscritti a un corso di laurea magistrale. A sorpresa, questi dati non si discostano particolarmente da quelli di Paesi come la Francia (1 milione e 116 mila studenti iscritti a un corso di laurea triennale e 1 milione e 18mila studenti iscritti a uno magistrale) e la Spagna (1 milione e 224 mila studenti iscritti a un corso di laurea triennale e 365 mila studenti iscritti a uno magistrale). Giusto la Francia “ci batte” sensibilmente, in particolare per la laurea magistrale.
Ma ciò che sposta l’ago della bilancia a favore di questi Paesi, è la partecipazione ben più vasta ai corsi professionalizzanti, che spostava per i cugini d’Oltralpe ben 547 mila giovani e, in Spagna, altri circa 463 mila. Da noi, invece, erano solo circa 20mila. Più in generale, in Europa, erano più del 7% gli studenti ad aver scelto questo tipo di percorsi, in Italia - come abbiamo visto - solo l’1%. E questo non può che influire sui conti.
Proseguire gli studi conviene, soprattutto in ottica lavorativa -
Certo, l’aver salvato la pelle in ambito accademico non basta a recuperare il gap con l’Europa che, come abbiamo visto, getta le sue radici già dalle scuole superiori. Ma se, da una parte, è necessario dire che si dovrà fare di più, dall’altra questi dati permettono di non limitarsi a questo e a individuare nuove aree di intervento. Non solo per avvicinare i giovani alla scuola e all’università, combattendo dispersione e abbandono degli studi, ma anche per stimolare lo sviluppo della rete degli ITS, vere e proprie eccellenze nella formazione tecnica e tecnologica.
Perché è dimostrato: studiare conviene, a qualsiasi livello. A dirlo è nuovamente l’Istat, che rileva come tra i 30-34enni con un titolo di studio terziario il tasso di occupazione (81,1%) è di oltre 12 punti più elevato rispetto a quello dei diplomati (68,4%). Ciò è vero non solo per questa fascia d’età: nel 2021, il tasso di occupazione di quanti, tra i 25 e i 64 anni, hanno conseguito un titolo secondario superiore è, infatti, 18,9 punti percentuale più alto rispetto a coloro che hanno un titolo secondario inferiore (70,3% contro 51,4%). Inoltre, il tasso di occupazione di chi può vantare un titolo terziario supera di 11,8 punti quello dei diplomati (82,1% e 70,3%).
“Per anni ci hanno raccontato che in Italia c’erano meno laureati che nel resto delle economie avanzate. In effetti era ed è vero, peccato che all’estero dietro alla qualifica che noi chiamiamo laurea non corrisponde solo una formazione accademica come dalle nostre parti. Al contrario, esistono intere filiere formative professionalizzanti post diploma, dedicate allo sviluppo di competenze tecnico-pratiche di altro profilo. Da noi le realtà che sono deputate a soddisfare questa esigenza, gli ITS Academy, sono state introdotte da poco più di un decennio e ora contano poco più di 20mila iscritti. Nonostante questi ultimi siano destinati a salire grazie ai fondi PNRR, il gap rispetto agli altri paesi europei resta consistente. Ce ne vorrebbero ancora di più. Anche perché molti, inseguendo il sogno di una laurea, si iscrivono a un percorso liceale e, se non riescono a completare gli studi, rischiano di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. E magari di diventare dei NEET, giovani che non studiano e non lavorano. In questa specialità purtroppo siamo i primi d’Europa”. Così commenta Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net.