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Imprenditore russo evaso, gli Usa: "Avevamo messo in guardia l'Italia"

Una lettera inviata a novembre al ministero di Giustizia chiedeva di non dare i domiciliari

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Sull'imprenditore russo arrestato in Italia ed evaso dopo aver tagliato il braccialetto elettronico che lo doveva sorvegliare, arriva la bacchettata dagli Stati Uniti. Il dipartimento di Giustizia americano a novembre aveva scritto al ministero della Giustizia italiano esortando le nostre Autorità a prendere "tutte le misure possibili" per disporre la custodia cautelare nei confronti di Artem Uss. L'imprenditore russo e figlio del governatore di una regione siberiana evaso il 22 marzo nel Milanese doveva essere estradato e questo passaggio, secondo gli americani, non era garantito dagli arresti domiciliari.

La lettera inviata a novembre dagli Usa  Nella missiva del 29 novembre del 2022 e protocollata dalla Corte d'appello di Milano il 19 dicembre, il dipartimento statunitense, dopo aver appreso che sarebbero stati concessi i domiciliari all'uomo d'affari, sottolineava l'esigenza di "garantire" che l'indagato non si sottraesse all'eventuale consegna per tutta la durata del procedimento di estradizione, compresa la trattazione di un ricorso alla Corte di Cassazione contro gli stessi domiciliati. 

"I domiciliari non sono sicuri"  Domiciliari che, per il dipartimento "non garantiscono efficacemente la disponibilità del latitante per un eventuale consegna". A dimostrazione di ciò, gli americani allegavano i nomi di  altri sei fuggitivi negli ultimi tre anni. Il documento richiamava anche una lettera del pubblico ministro statunitense del 19 ottobre del 2022 in cui si faceva riferimento "all'altissimo rischio di fuga" da parte di Uss.

Era stato arrestato su ordine degli Usa  L'uomo era stato bloccato a Malpensa il 17 ottobre, su mandato d'arresto internazionale dell'Autorità giudiziaria di New York, ed era evaso dai domiciliari il 22 marzo, dopo che la Corte d'Appello di Milano il giorno prima aveva concesso l'estradizione verso gli Stati Uniti. I giudici milanesi avevano riconosciuto le accuse contestate di contrabbando di petrolio dal Venezuela verso Cina e Russia con elusione delle sanzioni e di frode bancaria, ma non quelle di contrabbando di tecnologie militari dagli Usa verso la Russia, né quella di riciclaggio. 

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