Cala il prodotto interno lordo, crescono i rifiuti prodotti. E l'Italia fa peggio degli altri paesi europei. È questa, in sintesi, la fotografia scattata dall'ultimo studio del centro Ref ricerche.
Nel nostro paese il tasso di crescita dei rifiuti generati dalle imprese nel decennio 2010-20 è stato pari al 21,5%. Un’espansione a cui corrisponde una flessione, negli stessi anni, del PIL dell’8,2%. In Francia invece i due dati hanno segni opposti: la quantità di scarti prodotta nel medesimo arco di tempo è diminuita del 4,4%, mentre il Pil è cresciuto del 4,1%. In Germania, per fare un altro paragone, alla crescita dell’8,9% dei rifiuti si è registrata una crescita del 12,2% del fatturato paese. Due esempi virtuosi di economia che diventa realmente circolare e cresce di pari passo con l’economia dello smaltimento.
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In Italia su 175 milioni di tonnellate di rifiuti complessivamente prodotte, quelle riconducibili alle imprese hanno superato 80 milioni di tonnellate, con un’incidenza relativa di poco inferiore al 50%. E la tendenza, negli ultimi 10 anni, è sempre stata in crescita. Scarti dalla lavorazione dei rifiuti, imballaggi e fanghi della depurazione delle acque sono gli scarti più prodotti (+68% nel decennio di riferimento). Secondo lo studio, tra i maggiori Paesi europei il nostro è quello con la più alta intensità di produzione di rifiuti: 52 chilogrammi per 1.000 euro di PIL. E neanche il Covid-19 e annesse chiusure è riuscito a invertire la tendenza.
I settori a più alto tasso di generazione di rifiuti sono tessile, arredamento e food and beverage. Nel 2020, l'industria manifatturiera tricolore ha generato circa 117 chilogrammi di rifiuti per 1.000 euro di Pil, a fronte degli 86-87 chilogrammi di Francia e Germania. Numeri che vedono l’Italia ancora indietro, ma non devono essere letti – sottolinea REF Ricerche - come minore efficienza o attenzione alla prevenzione del sistema industriale italiano, piuttosto rappresentano un ritardo nella gestione dei “sottoprodotti” (riutilizzo nei processi produttivi come materie prime seconde), che induce le imprese a gestire come rifiuti anche materiali e scarti che potrebbero essere reimmessi nel processo produttivo. Il tutto caricandosi di ulteriori costi e processi.
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Un’altra categoria dove il nostro paese primeggia è quella della produzione di rifiuti in plastica. Nel complesso, si tratta di poco meno di 3,3 milioni di tonnellate di rifiuti, pari a circa il 4% dei rifiuti prodotti dalle attività domestiche nel nostro Paese nel 2020. Nello specifico, in Italia sono stati originati 1,9 chilogrammi di rifiuti in plastica per 1000 euro di prodotto interno lordo, laddove Germania e Francia si attestano sul chilogrammo e la Spagna sugli 0,7 nel 2020.
Dopo i numeri le ricette. Come primo passo l’ecodesign ovvero una progettazione di merci e beni che ne riduca l’impatto ambientale lungo l’intero ciclo di vita. Poi si renderebbe necessario un più efficace funzionamento dell’istituto del sottoprodotto e infine un più ampio ricorso alle pratiche di simbiosi industriale ovvero l’interazione tra diversi stabilimenti raggruppati in distretti o a distanza al fine di massimizzare il riutilizzo di risorse, normalmente considerate scarti e ottimizzando la conoscenza e le competenze tra aziende. Per un’economia ma anche una conoscenza più circolare.