Sempre meno alunni nei prossimi anni: il calo demografico presenta il conto anche al sistema scolastico italiano. È l’allarme lanciato dal rapporto Censis 2022, in cui il legame tra demografia e scuola assume un ruolo di rilievo. Dall’indagine, infatti, emerge con forza come il vertiginoso crollo delle nascite si ripercuoterà pesantemente sulla popolazione scolastica dei prossimi 20 anni. Dati alla mano, nel 2042 la scuola secondaria di secondo grado conterà oltre 700 mila studenti in meno, di età compresa tra i 14 e i 18 anni. Ma il fenomeno è ben più esteso, con lo spopolamento che presto si registrerà - in maniera persino più corposa - già alla scuola primaria, per poi abbracciare anche le scuole medie. Complessivamente, dalla scuola dell’infanzia alle superiori, si potrebbe assistere a una “perdita” pari a quasi due milioni di bambini e ragazzi in meno presenti nelle nostre classi.
Ma che la scuola e l’inverno demografico piombato nel nostro Paese siano destinati a viaggiare in parallelo ce lo aveva già detto il PNRR. Uno dei vincoli imposti dal Piano di Ripresa e Resilienza, infatti, è proprio l’adeguamento dell’organizzazione degli istituti all’andamento anagrafico della popolazione studentesca. Tradotto per i non addetti ai lavori: nei prossimi anni assisteremo anche a un ridimensionamento della rete scolastica, con forti ripercussioni soprattutto nel Mezzogiorno. Il sito Skuola.net, sempre sulla base dell’ultimo rapporto Censis, ha così provato a fare il punto della situazione sulla desertificazione delle aule scolastiche (e non solo).
Lo “tsunami demografico” si sentirà molto presto
L’istituto di ricerca non usa mezzi termini e parla di un vero e proprio “tsunami demografico” in arrivo. E, a ben vedere, non potrebbe esistere parola più appropriata. Il monitoraggio sulle scuole degli ultimi cinque anni parla chiaro e rileva una problematica non solo futura, ma anche attuale. Nell’ultimo quinquennio, gli studenti iscritti ai diversi ordini di scuola sono passati da più di 8,6 milioni a circa 8,2 milioni: più precisamente 403.356 alunni in meno. Significativa, soprattutto, la contrazione registrata nell’anno scolastico 2021-2022: ben 102.280 presenze in meno rispetto allo stesso periodo del 2020-2021.
Il trend negativo emerge in tutta la sua evidenza alla scuola dell’infanzia, dove in cinque anni si segnala un calo delle iscrizioni dell’11,5% in meno. Il fenomeno però già investe anche la scuola primaria che - nello stesso periodo preso in esame - ha visto 227.325 banchi rimanere vuoti, di cui 61.651 solo nell’ultimo anno. In generale, a pesare è la precarietà del quadro demografico: nel 2032 infatti, si stima che la popolazione tra i 3 e i 18 anni - quindi in età scolare - si ridurrà in maniera considerevole, passando dagli attuali 8,5 milioni a 7,1 milioni. E tra vent’anni, nel 2042, potrebbe ridursi addirittura a 6,8 milioni, con una perdita secca di 1,7 milioni di individui rispetto al presente.
Le conseguenze del calo demografico si abbattono sulla scuola
Un inverno demografico che si abbatterà inesorabilmente sulla scuola. A cominciare dalla primaria per poi proseguire alle scuole medie. Queste ultime, rispetto al presente, vedranno un calo totale di 900mila iscritti nei prossimi 10 anni. E nel 2042 l’ondata negativa investirà con forza anche le scuole superiori che - rispetto al 2022 - perderanno 726 mila studenti: ragazze e ragazzi di età compresa tra i 14 e i 18 anni.
Per questo l’andamento demografico nel nostro Paese è finito sotto i riflettori della Commissione Europea che, nel PNRR, come detto pone degli obiettivi anche in materia scolastica. Il che ha portato all’ampio spazio dedicato al tema del cosiddetto “dimensionamento scolastico” nell’ultima Legge di Bilancio. Cosicché, al calo demografico, si legherà sempre più a doppio filo la riduzione della rete scolastica, in termini non solo di strutture ma anche di capitale umano.
Il Ministero dell’Istruzione e del Merito è stato chiaro: se non si arriverà a un accordo con le Regioni, le scuole con meno di 900 studenti saranno accorpate ad altri istituti, fatta eccezione per le scuole situate nelle isole e nelle località montane, dove il tetto scende a 600 alunni. Stando a questo criterio, tra il 2021-2022 e il 2024-2025 gli istituti che “spariranno” - perché verranno uniti ad altri istituti - sono circa 700: si potrebbe passare da 8158 a 7461. Per poi arrivare al 2032, quando le previsioni dei sindacati ci dicono che ci saranno solo 6.885 scuole attive sul territorio.
Un sistema, ha spiegato il Ministero dell’Istruzione e del Merito, orientato anche alla riduzione di alcune pratiche - come quella delle reggenze dei presidi - che però non prevede esuberi di dirigenti scolastici. Tuttavia, le stime parlano di fatto di un “taglio” dei dirigenti scolastici nei prossimi anni: dovrebbero passare dai 6.490 del 2024-2025 ai 3.144 del 2031-2032. Tra il 2025 e il 2032, complessivamente, saranno circa 470 i presidi che ogni anno andranno in pensione. Che, presumibilmente, non saranno “rimpiazzati”.
Università, il Sud pagherà il conto più salato
Come prevedibile, anche per l’università le prospettive sono tutt’altro che rosee. Le proiezioni indicano, infatti, che la popolazione 19-24enne scenderà nel 2042 a poco più di 2,7 milioni di giovani, ovvero quasi 760.000 in meno rispetto a oggi. Il declino demografico costituirà dunque, nei prossimi anni, una minaccia concreta anche per gli atenei, che già adesso registrano un brusco calo delle immatricolazioni. Nell’anno accademico 2021-2022, infatti, il numero di neo iscritti è stato di 320.871 matricole, contro i 330.271 dell’anno precedente: una riduzione del 2,8%.
E il trend demografico sembra non lasciare via di scampo anche per il medio-lungo periodo. Infatti, anche per gli atenei vedremo gli effetti di questa onda d’urto demografica nel prossimo ventennio. Nell’anno accademico 2041-2042 potremmo assistere a una riduzione - rispetto all’anno accademico 2021-2022 - di 390 mila unità per quanto riguarda gli iscritti.
A pagare il prezzo maggiore di queste dinamiche, nel prossimo futuro, dovrebbero essere soprattutto gli atenei del Mezzogiorno. Qui a spiegare la situazione è il portale ‘Talents Venture’ che nel report “Università e demografia. La sfida di lungo periodo degli atenei italiani” elenca gli atenei più esposti al crollo demografico. Si tratta delle università ‘Enna Kore’, ‘Basilicata’, ‘Foggia’, ‘Sannio’ e della ‘Federico II’ di Napoli. Per questi poli universitari le stime indicano una riduzione degli immatricolati - rispetto al 2022 - compresa tra il 15% e il 24% già attorno al 2030.
Il report, però, richiama l’attenzione anche sulle università del Nord, in genere molto attrattive per gli studenti del Sud e delle Isole: per citare un esempio concreto, l’università ‘La Sapienza’ di Roma potrebbe registrare un calo degli immatricolati fuori sede pari al 6% nei prossimi dieci anni. Per l’area centro-settentrionale, il crocevia sarà il 2040, anno in cui si attende che i grandi atenei registreranno una contrazione delle immatricolazioni di circa il 20%. In questa nefasta previsione rientreranno, con molta probabilità, gli atenei di Bologna, Ferrara, Milano, Padova, Parma, Perugia e Roma.