La maggioranza di centrodestra ha tentato un blitz in Senato, poi fallito, su uno dei temi più caldi della politica: le regole per le elezioni. Prima in commissione Affari costituzionali e poi in Aula è arrivato un emendamento di Fratelli d'Italia, Forza Italia e Lega che, di fatto, cancellava i ballottaggi per l'elezione dei sindaci nei Comuni sopra i 15mila abitanti. Un "colpo di mano" secondo le opposizioni che hanno immediatamente protestato compatte, pronte a far convocare la Giunta del regolamento. Pd, M5S, Az-Iv e Avs hanno sottolineato infatti l'aggravante: il tentativo di inserire una modifica in un ddl su cui c'era stata la condivisione di tutte le forze politiche a favore della procedura d'urgenza, con un esame sprint, avviato solo ventiquattro ore prima in Commissione, per un via libera immediato in Aula.
"Siamo indignati per il modo di agire di questa maggioranza che cerca costantemente di calpestare i diritti delle opposizioni e le procedure parlamentari per introdurre modifiche clamorose come questa", il commento della capogruppo del Movimento 5 Stelle in Senato Barbara Floridia. Di "atto gravissimo" e di tentativo di introdurre surrettiziamente una riforma elettorale "gigantesca e iperdivisiva, innestandolo su un provvedimento di portata circoscritta su cui l'Aula unanimemente ha concesso la procedura d'urgenza, proprio perché circoscritto a modifiche puntuali e condivise", hanno parlato i dem i quali hanno difeso il sistema vigente.
Dopo la bagarre la maggioranza ha deciso di fare marcia indietro e, stemperato il clima, l'Aula ha approvato con 125 sì, nessun contrario e nessun astenuto, il provvedimento senza modifiche dando quindi il via libera solo alle misure per i Comuni sotto i 15mila abitanti (il cui quorum si abbassa dal 50% al 40%). Il capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo, tuttavia ha chiarito che la maggioranza non mollerà sui Comuni più grandi perché, ha puntualizzato, c'è la "volontà" di portare "in tutta Italia il modello Sicilia" sia per "risparmiare risorse" che "in vista della partecipazione dei cittadini che al secondo turno sembra essere minimale".
Una affermazione, quest'ultima, a cui il vice presidente della commissione Affari costituzionali, il dem Dario Parrini, ha replicato ricordando che "nelle elezioni del 2021 sono andati al ballottaggio i Comuni, tra gli altri, di Torino, di Bologna e di Milano, e a Torino al primo turno hanno votato 397mila persone e al secondo 378mila, a Milano al primo turno 550mila e al secondo 521mila, a Bologna 179mila al primo turno 159mila al secondo".
La sottosegretaria all'Interno, Wanda Ferro, ha ringraziato i presentatori dell'emendamento per aver ritirato il testo finito nella bufera (che peraltro aveva avuto il "parere positivo del Viminale in seconda stesura", ha detto). Ma ha precisato che resta la "volontà di scrivere delle norme per sistemi agili e snelli, e soprattutto sistemi che non guardino solo alla vittoria ma anche alla possibilità di governare. Abbiamo voluto fermarci" in ragione della "procedura d'urgenza" del provvedimento in esame "ma se si parla di pudore, a nome del governo, non accettiamo lezioni".
L'emendamento, a firma Adriano Paroli (Fi), Marco Lisei (Fdi) e Paolo Tosato (Lega), cambiava l'articolo 72 del testo unico sugli enti locali, nella parte in cui oggi prevede che nei Comuni grandi, oltre i 15mila abitanti, venga "eletto sindaco il candidato alla carica che ottiene la maggioranza assoluta dei voti validi". Con la modifica proposta dalla maggioranza invece veniva "proclamato eletto sindaco il candidato che ottiene il maggior numero di voti validi, a condizione che abbia conseguito almeno il 40 per cento dei voti validi". Veniva inoltre assegnato un premio di maggioranza del 60% dei seggi. L'emendamento cancellava solo il comma 4 e non il comma 5 relativo a eventuali ballottaggi che pero', di fatto, sarebbero saltati nella maggior parte dei casi di fronte alla percentuale più bassa per essere eletti.