La famosa espressione del titolo di studio come “pezzo di carta”, nella forma dell’ormai diffusissimo diploma di Maturità, non è più rappresentativa solo di una metafora ma sempre più di un dato di fatto. Infatti, tantissimi studenti ormai portano a casa un titolo di studio che non rappresenta le reali competenze acquisite. A dirci quanti maturandi, seppur al termine del secondo ciclo di istruzione, non avranno raggiunto questa soglia minima saranno proprio le prove INVALSI 2023, osservando i livelli degli apprendimenti acquisiti dalle ragazze e dai ragazzi alla fine del proprio percorso.
Dalle Prove INVALSI 2022 segnali preoccupanti
Anche se, come evidenziato da un'analisi degli ultimi dati a disposizione effettuata dal portale Skuola.net, la risposta più o meno già la sappiamo. E non è delle più esaltanti. Difficile che la situazione si sia modificata di netto rispetto a quanto avvenuto nel 2022, quando le Prove hanno segnalato perlomeno due criticità: un quadro generale che vede solo la metà degli studenti raggiungere i livelli minimi attesi, in tutte le materie oggetto delle prove e, come spesso accade, una forte spaccatura tra Nord e Sud d’Italia.
Italiano: solo la metà dei maturandi lo maneggia agevolmente
Entrando nel dettaglio delle singole discipline, per quanto riguarda l’Italiano - ovvero la capacità di comprensione e analisi di un testo in lingua madre - dodici mesi fa solamente il 52% dei futuri maturandi si è attestato almeno a un livello base (L3), confermando il trend in discesa di questa competenza. Ma, come detto, la situazione è geograficamente molto differenziata: se il blocco delle regioni del Nord arriva a un 63% di studenti con un livello base (dato non esaltante ma comunque migliore di quello nazionale), in quello delle regioni del Sud (Isole comprese) a fatica si arriva al 40% e mediamente ci si ferma a un livello 2. Al Centro, invece, ci si attesta attorno al dato medio.
Matematica: una competenza chiave trascurata dai più
Anche peggiore, però, è il quadro per quel che riguarda la Matematica, materia che nei prossimi anni sarà sempre più fondamentale maneggiare a dovere per inserirsi con successo negli ambiti formativi e lavorativi. Qui, infatti, in media è esattamente il 50% degli studenti che si sono sottoposti agli INVALSI 2022 ad aver raggiunto almeno il livello 3. Inoltre, qui, si assiste a un peggioramento nel tempo: nel 2019 i ragazzi con un livello base erano il 61%. E, di nuovo, nel Settentrione si può tranquillamente arrivare a un livello base per almeno 2 alunni su 3 (il dato oscilla tra il 63% e il 66%); dopodiché, man mano che si scende verso il Mezzogiorno, il dato crolla: al Centro ci si ferma al 48% con minimo un L3, al Sud e nelle Isole non più di 1 alunno su 3 si salva (gli L3 o superiori sono appena il 33%).
Inglese: è allarme rosso, specie se non è scritto
Ma il vero “buco nero” è rappresentato dalla lingua Inglese, nella sua parte di “ascolto” (listening), uno dei due segmenti che costituiscono l’analisi effettuata dall’Istituto INVALSI su questa materia. Il livello che secondo le Linee Guida dovrebbe essere acquisito giunti alla fine delle superiori dovrebbe essere il B2? Ebbene, nell’ultima rilevazione ha dimostrato di possederlo solo il 38%, a livello nazionale (l’esito medio è un B1). Ovviamente, anche qui, non si sfugge dalle differenze Nord-Sud: nelle regioni settentrionali, mediamente, si riesce a superare la soglia psicologica del 50%, al Sud e nelle Isole ci si ferma al 24% (significa che meno di 1 maturando su 4 sa “decifrare” abbastanza agevolmente un dialogo in inglese e parecchi alunni mancano del tutto le basi, non arrivando neanche al B1).
In confronto, il dato sulla parte di “lettura” in Inglese (reading), sembra rassicurante (ma non lo è). Siamo più o meno sui livelli dell’Italiano: su scala nazionale, a raggiungere un B2 è il 52%. Mentre il dato medio oscilla tra il B1 e il B2. Risultati in linea con l’Italiano anche per quel che attiene ai vari territori: al Nord si oltrepassa praticamente sempre il 60% di B2 (al Nord-Est si arriva al 64%), al Centro sono attorno al 50%, al Sud e nelle Isole sono il 38%.
La condizione socio-culturale della famiglia è ancora determinante
A corredo di questi dati specifici, ci sono anche quelli “di contesto”, generali, che segnalano altre problematiche che la scuola non riesce a risolvere ma, al contrario, rischia di accentuare. Come le differenze negli apprendimenti a seconda del background socio-economico. Alla fine del percorso di studi secondario, infatti, i risultati INVALSI di chi ha almeno un genitore laureato sono nettamente migliori rispetto a quelli di chi ha anche entrambi i genitori diplomati; figuriamoci se i titoli di studio sono inferiori. Ciò vale, in particolar modo, per la lingua straniera.
Così come, soffermandoci sui cosiddetti allievi eccellenti - quelli che raggiungono i livelli più alti - non può essere un caso che siano in percentuale più che doppia tra quanti provengono da famiglie socialmente avvantaggiare rispetto a quelli che vengono da contesti più arretrati. Allo stesso modo, lo svantaggio sociale espone al pericolo della “dispersione implicita” - ovvero quando, pur possedendo il titolo di studio non si possiedono gli apprendimenti minimi per quel livello - due volte di più rispetto a una situazione agiata.
Dispersione implicita: un diplomato su dieci ha competenze da terza media
La dispersione implicita è forse il dato più inquietante mappato dalle prove INVALSI. Questa condizione è riservata, si fa per dire, a coloro che non superano il livello minimo di competenze simultaneamente in Italiano, Matematica e Inglese. Tradotto in termini pratici questi studenti non raggiungono i livelli attesi al termine delle scuole. Ebbene, sono il 9,7% di coloro che lo scorso anno si sono sottoposti alle Prove INVALSI di quinto superiore. Se fossero arrivati al diploma - questo non è dato saperlo - questo avrebbe avuto un valore in termini di competenze di base paragonabile a quello di una licenza media.