Auguste Renoir classico? Solo a porre la domanda si ha la sensazione di commettere un'eresia. Eppure, quando Renoir dipinge le Grandi Bagnanti, tra il 1883 e il 1887, l'Impressionismo per lui è ormai un capitolo chiuso. Quell'adunata di fanciulle sulla riva di un fiume non ha più nulla da spartire con le modiste che danzano al Moulin de la Galette o con le amiche che fanno colazione al tavolo dei canottieri sul lungo Senna. Quelle giovani donne, dal corpo florido e armonioso, non conoscono i quartieri di Parigi, non frequentano i teatri, non sentono gli affanni e la loro nudità elimina ogni riferimento temporale e sociale. Più che l'impressione di un istante rubato alla vita, Renoir ha dipinto una visione: cinque ninfe che giocano o si bagnano tra le anse di un fiume, immerse in una cornice di soffici alberi e teneri fili d’erba, spensierate custodi di un eden, dove il tempo è quello della natura e l'ordine è quello del creato.
Non solo il tema, ma anche il linguaggio è cambiato: il disegno ha riguadagnato terreno sul colore e la composizione rimanda ai grandi maestri: da Giorgione a Tiziano, da Tiepolo a Rubens fino a Ingres. C'è un'attenzione tutta nuova alle procedure, alla qualità dei pigmenti, ai materiali, a quello che, decenni dopo, Giorgio de Chirico avrebbe definito come il "ritorno al mestiere".
A indicargli la via è stato il viaggio che Renoir ha fatto in Italia nel 1881, un grand tour forse un po' tardivo, dato che il pittore aveva ormai passato le quaranta primavere, ma ricco di scoperte e foriero di profondi cambiamenti: «In Italia, che è un paese caldo, la natura non sa di chiuso – scrive all'amico e mercante Ambroise Vollard. Nelle Nozze di Cana del Veronese, nei Nudi del Tiziano c'è una luce stupenda che non si trova in nessun quadro moderno».
Il tour nel Bel Paese aveva avuto inizio da Venezia, dove a colpirlo erano stati Carpaccio e Tiepolo, era poi proseguito a Padova, Firenze, Roma (dove era stato travolto dalla forza della luce mediterranea e dei maestri rinascimentali, tanto che in una lettera a Durand-Ruel – datata 21 novembre 1881 – aveva scritto: «Sono andato a vedere Raffaello a Roma. È bellissimo e avrei dovuto vederlo prima. È colmo di sapienza e di saggezza. Non cercava l'impossibile, come me. Ma è bello. Nella pittura a olio preferisco Ingres. Ma gli affreschi sono mirabili per semplicità e grandezza») e Napoli, dove aveva scoperto le pitture pompeiane, Capri e le antiche bellezze del museo archeologico. Infine, aveva toccato anche Palermo, dove in quarantacinque minuti di posa aveva ritratto Richard Wagner.
Quel viaggio, accompagnato dalla lettura del Libro dell'Arte di Cennino Cennini, è stato per Renoir l'inizio di una vera e propria conversione, di un convinto ritorno alla tradizione e ai suoi canoni: «è al museo che si apprende il gusto della pittura che la natura da sola non sa darvi. Non si dice 'sarò pittore' davanti a un bel posto, ma davanti a un quadro».
E la mostra a Palazzo Roverella di Rovigo (dal 25 febbraio al 25 giugno), magistralmente curata da Paolo Bolpagni, si concentra proprio su questa seconda fase della carriera del pittore francese e sul desiderio di uno dei padri dell'Impressionismo di riprendere i contatti con la classicità, facendolo allontanare definitivamente dal contingente e dalla mutevolezza dell'istante.
Il percorso espositivo prende avvio da un capolavoro della stagione impressionista di Renoir, il grande studio preparatorio del celeberrimo Moulin de la Galette, per poi seguire con la Baigneuse blonde (1882), dove nei tratti della moglie Aline Charigot Renoir ha dipinto una sensuale Venere, dai fluenti capelli rossi e dalle morbide forme scultoree (alla Maillol, per intenderci), ma dove, e occorre prenderne atto, il colore non si solidifica e si fa custode di una luce che ai capricci dell'ora preferisce l'appagante certezza del mito. Infine, la mostra non manca di evidenziare vicinanze e tangenze con Giuseppe De Nittis, Federico Zandomeneghi, Giovanni Boldini e Medardo Rosso, italiani attivi a Parigi, e di porre l'accento su come la precoce e "moderna classicità" di Renoir abbia segnato l'avvio di quel Ritorno all'Ordine che sarebbe stato perseguito negli anni Venti e Trenta da tanti altri artisti, come si evince dai confronti con le sculture di Marino Marini e Antonietta Raphaël (affiancate alla Venus Victrix di Renoir del 1916) e con i dipinti di Armando Spadini, Carlo Carrà, Giorgio de Chirico, Arturo Tosi, Filippo de Pisis, Luigi Bartolini, Enrico Paulucci.