Con la minaccia di riti voodoo contro i lori cari, a Siracusa una donna nigeriana costringeva giovani, anche minorenni, alla prostituzione. La donna è stata arrestata con l'accusa di tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, aggravati dall'aver agito anche in danno di minori, immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione e autoriciclaggio dei proventi dell'attività delittuosa.
Minacciando di ricorrere a un rito denominato "Ju-Ju", l'indagata sarebbe riuscita a convincere le vittime a scappare dai centri di accoglienza, dove erano stati portati dopo l'arrivo in Italia. La nigeriana è accusata inoltre di aver esposto le sue vittime a un grave pericolo per la vita e l'integrità fisica, facendo attraversare il continente di origine sotto il controllo di criminali che le sottoponevano a privazioni di ogni genere e a diverse forme di violenza, e le facevano giungere in Italia via mare.
Immigrazione clandestina e prostituzione -
La donna nigeriana arrestata avrebbe gestito in pochi mesi il viaggio dalla Nigeria di almeno 8 ragazze (tre delle quali giunte in Italia nello stesso periodo) e la prostituzione di due ragazze, controllando anche diverse postazioni lavorative di prostitute su strada. Nel corso dell'indagine sono state rilevate numerose transazioni economiche di denaro dall'Italia verso la Nigeria che sarebbero state effettuate dalla indagata, utilizzando denaro proveniente dallo sfruttamento sessuale delle vittime giunte in Italia. Sarebbero emersi anche investimenti immobiliari realizzati in Nigeria. Molti e continui i trasferimenti di somme non sempre destinati alla stessa persona, attraverso mediatori che offrivano il servizio di rimesse all'estero secondo un sistema bancario non tracciabile.
Il racconto di un'immigrata -
L'indagine, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania, è scattata in seguito alle dichiarazioni di una giovane nigeriana, che al momento dello sbarco al porto commerciale di Augusta nel luglio 2016, aveva dichiarato di avere intrapreso un lungo viaggio in autobus dalla Nigeria fino in Libia e da lì verso l'Italia, contraendo un debito di 30mila euro quale corrispettivo per "le spese di viaggio". Durante il periodo di "prigionia" in Libia la donna apprendeva della sua destinazione al mercato della prostituzione e comprendeva di esser stata ingannata con false promesse subendo violenze fisiche e psichiche dai "sorveglianti". In Italia aveva deciso di chiedere aiuto alla polizia.