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Storie "marziane" al Piccolo Teatro

Con lo spettacolo Carbonio, premiato al Festival di Riccione, Lorenzo Pisano esplora l'universo: extraterrestre e umano

Tgcom24

Uno spettacolo "alieno". Dal testo e dalla scenografia Originali (con la “o” maiuscola). Al Teatro Studio Melato (dal 7 al 26 febbraio), dopo la prima nazionale dello scorso giugno, torna Carbonio (scritto e diretto dal giovane drammaturgo Lorenzo Pisano, premiato al Festival di Riccione del 2021). Racconta storia e conseguenze dell’incontro ravvicinato tra un uomo e un extraterrestre. Ma racconta anche, parallelamente, la genesi - altrettanto marziana - dell’esplorazione spaziale, con cui l’uomo, fin dagli anni Sessanta, va in cerca di forme di vita altre. 


Al centro della scena una specie di disco volante, avvolto da una rete semitrasparente che separa la dimensione terrestre dello spettatore da quella surreale dei due protagonisti, messi l’uno di fronte all’altra in un dialogo sempre più serrato, fino al colpo di scena finale. Lei (Federica Fracassi) è la scienziata che interroga Lui (Mario Pirrello), l’uomo che ha incontrato un alieno, di cui si sa soltanto che non è composto da carbonio, elemento alla base della vita sulla Terra.

L’intera comunità scientifica mondiale tiene in ostaggio il testimone da giorni, nella speranza di scoprire (attraverso il suo racconto, e le sue sensazioni) i segreti dell’extraterrestre, e le ragioni della sua venuta. In quest’ultimo interrogatorio, dopo decine di confronti senza esito, Lei - inizialmente determinata, quasi violenta - incalza l’enigmatico interlocutore (su cui grava un segreto terribile) perdendo però - domanda dopo domanda - il suo cinismo da cacciatrice e diventando lei stessa preda di questo Lui ora carnefice, metafora dell’ignoto, della minaccia, dell’alieno stesso, in cui forse si è trasformato.

Parallelamente a questo dialogo adrenalinico e ben costruito, il regista Pisano (mettendo in pausa, di tanto in tanto, il confronto dialettico e materializzandosi sul palcoscenico) racconta con spunti e riflessioni ironiche del programma Voyager, che nei primi anni Settanta promosse il lancio, alla periferia del sistema solare, del Golden Record: un disco con suoni e immagini selezionati per portare le diverse lingue e culture terrestri a eventuali forme di vita aliene. Un contrappunto interessante che spezza, però, il ritmo crescente dello spettacolo, imbrigliando la montante carica tensiva del dialogo al centro della scena.

Dialogo che si risolverà in un nostalgico monologo finale, in cui alle parole di Lei l’autore affida il compito di recapitare, non già agli alieni ma agli esseri umani stessi, il senso ultimo della loro sete di conquista e di scoperta: l’antropoillogico desiderio di annegare nell’infinito la propria paura del tempo, dell’aliena caducità dell’esistenza.
 

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