Raggiungere le zero emissioni nette (ovvero un equilibrio tra la quantità di gas serra emessi e quella che viene compensata) è uno degli obiettivi cardine per le nazioni del mondo. Alcune si sono impegnate a tagliare il traguardo entro il 2030, altre qualche decennio più avanti. Esistono poi alcuni Paesi che invece possono già vantare questo successo e che per questo si definiscono “serbatoi di carbonio”. Seppur con qualche contraddizione.
Nel Bhutan i parchi nazionali protetti occupano i due quinti del territorio. L’economia è basata su agricoltura di sussistenza, sullo sviluppo delle foreste e sul turismo sostenibile. Un impegno ecologico che ha anche premiato il Pil, che dagli anni Ottanta è salito del 7,5% ogni anno.
L'arcipelago delle Comore sorge sull'Oceano Indiano al largo della costa orientale dell'Africa, ed è uno dei Paesi più poveri al mondo la cui economia si basa sull'agricoltura, la pesca e l'allevamento di bestiame. Quasi un quarto del territorio è però protetto.
Il Madagascar è attualmente a emissioni zero che potrebbe però tornare a emettere CO2 entro il 2030: a causa delle massicce politiche di deforestazione, dal 2000 è sparito un quarto della copertura forestale del Paese.
Il Suriname è una piccola nazione dell'America del Sud, con una densità di popolazione di circa tre persone per chilometro quadrato. Il suo territorio è ricoperto per il 93% da alberi, che assorbono miliardi di tonnellate di CO2 e supportano la biodiversità.
Il Gabon è uno stato africano dominato per l'88% dalla foresta pluviale. Il Paese è fortemente impegnato contro la deforestazione e gestisce in modo sostenibile le proprie risorse naturali. Tuttavia le esportazioni di petrolio greggio sono una delle principali fonti di reddito per lo Stato e contribuiscono al 40% del Pil nazionale.
La Guyana è un Paese sudamericano ricco di alberi e mira a ridurre di un ulteriore 70% le emissioni inquinanti entro il 2030. Tuttavia nel 2019 è diventato un nuovo produttore di petrolio, e nel 2022 le esportazioni sono schizzate alle stelle: questo potrebbe farle perdere lo status di Paese a zero emissioni.
L’soletta corallina di Niue è grande poco più di 260 km2 e conta appena 2.000 abitanti. Vive di turismo, pesca e agricoltura, e contribuisce a solo lo 0,0001% delle emissioni globali di gas serra. Nonostante il suo ruolo marginale nel cambiamento climatico, è uno dei luoghi più colpiti dai suoi effetti negativi: l'isola, la cui capitale è stata distrutta da un ciclone nel 2004, rischia di venire sommersa a causa dell'innalzamento del livello dei mari.
Persino Panama si unisce al club, avendo raggiunto le zero emissioni nette. La nazione è ricoperta per il 65% dalla foresta pluviale atlantica ed è abitata da 4,5 milioni di persone. Oltre il 33% del Paese è protetto e ospita più di 10.000 specie di piante: il governo mira a riforestare 50.000 ettari di territorio entro il 2050.
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Ovviamente simili risultati sono possibili perché si tratta quasi sempre di territori ricchi di risorse naturali, con una bassa densità di popolazione e un settore industriale quasi assente. Per i maggiori Stati del mondo sarebbe difficile avere un’impronta climatica simile. Tuttavia, ambire all’obiettivo zero emissioni nette non solo è possibile, ma è fondamentale. E anche un’isoletta nel Pacifico può diventare l’esempio da seguire. I grandi risultati si ottengono sempre iniziando a piccoli passi.