da "The Laramie project" di Kaufman 

"Il seme della violenza", un'altra stagione di pienoni all'Elfo Puccini

Grande successo per lo spettacolo tratto dallo sconvolgente "The Laramie project" di Kaufman  

di Roberto Ciarapica

© Tgcom24

Ha debuttato al Festival di Napoli nel 2020, e oggi, dopo tre anni, è ancora protagonista della scena teatrale italiana: diciannove date appena riempite all'Elfo Puccini di Milano (produttore dello spettacolo) dal 17 gennaio al 5 febbraio. Il seme della violenza di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia (dal lavoro The Laramie project di Moisés Kaufman, del 1998) è un esempio riuscitissimo di come il teatro civile possa essere anche teatro teatro (di trama, di sceneggiatura, di estetica). 

Costruito con ritmi vertiginosi, come fosse un giallo, un poliziesco, lo spettacolo racconta il caso Matthew Shepard, uno studente ucciso brutalmente nel 1998 per motivi di odio omofobico. Poco dopo il delitto, il regista Moisés Kaufman e la sua compagnia newyorchese compirono un viaggio verso Laramie, la città del Wyoming teatro del delitto, e trascorsero lunghi periodi a intervistare gli abitanti per ricostruire gli eventi e per dare un senso a quella tragedia. Due anni di ricerche, oltre duecento interviste, condotte con perizia da cronaca giudiziaria. Così nacque The Laramie project, che ebbe enorme fortuna a New York a inizio secolo. Il racconto va molto oltre la cronaca: è un misto di inchiesta giornalistica, indagine antropologica, risonanza magnetica sociale. Mostra come la responsabilità fu di tutti e di tutto: dell’ignoranza, della distrazione, delle parole, della religione.

Brillante e toccante, procedendo in senso cronologico (dal delitto al processo, fino alle condanne degli imputati), lo spettacolo ha un mood quasi frenetico (cosa che però - inaspettatamente - non ne intacca mai la comprensibilità), e porta sul palcoscenico 60 personaggi (interpretati da 8 attori chiamati a un trasformismo spesso complicato, ma risolto con esiti strepitosi). Non è soltanto un dramma sull’odio e sull’omofobia, è un viaggio al termine della notte nell’America “della pancia”, che ricorda molto - per scelte, per costruzione e per tinte - il capolavoro del 1966 di Truman Capote, A sangue freddo, primo romanzo-reportage nella storia della letteratura, a cui Kaufman e la coppia Bruni-Frongia si devono essere ispirati.

Anche lo scrittore premio Pulitzer, dopo un efferato delitto, trascorse mesi e mesi della sua vita nel villaggio di Holcomb, sulle alte pianure di frumento del Kansas occidentale, “un'area solitaria - recita l’incipit del suo romanzo immortale - che gli altri abitanti del Kansas chiamano laggiù”. Lo fece per provare a capire come era potuto succedere. Lasciandoci però, in eredità, più domande che risposte. Proprio come questo Seme della violenza, che tuttavia una speranza, nel finale, la pianta: grazie ai genitori di Matthew, che hanno continuato la lotta per avere giustizia, oggi gli Stati Uniti hanno una legge contro i crimini d’odio, che porta il nome di loro figlio, protagonista in contumacia di questo spettacolo unico nel suo genere. E, anche per questo, imperdibile.