Lagune, fiumi, stagni, laghi, paludi, torbiere: sono le wetlands, aree chiave per la biodiversità e per la regolazione del clima. Per raccontare il valore di queste zone che svolgono servizi ecosistemici essenziali alla nostra sopravvivenza, giovedì 2 febbraio si celebra la Giornata mondiale delle Zone Umide (World Wetlands Day, WWD), data che ricorda l'adozione della Convenzione omonima per la loro tutela, firmata il 2 febbraio 1971 nella città iraniana di Ramsar. La rete di acque dolci e salmastre che abbraccia il pianeta è come un vero e proprio sistema linfatico che distribuisce nutrimento, filtra e purifica, rende disponibile in condizioni climatiche avverse l’acqua necessaria a dissetare e accogliere una straordinaria biodiversità.
Purtroppo questa rete di vita è stata cancellata in gran parte. Secondo le Nazioni Unite il pianeta ha perso ad oggi più dell’85% di questi ecosistemi. Recuperare, ripristinare ampliare le zone umide è il focus della giornata mondiale di quest’anno, in perfetta sintonia con gli obiettivi della decade delle Nazioni Unite su “Ecosystem restoration (2021-2030)”, della Strategia Europea per la biodiversità per il 2030 e della proposta di “Restoration Law” ora in discussione in sede europea. Dopo le grandi bonifiche attuate tra la seconda metà dell’ottocento e la prima del novecento, un ulteriore 35% di zone umide è stato perso nel mondo solo negli ultimi 50 anni. Si tratta di una perdita enorme che ha messo in crisi la biodiversità di questi habitat: non è un caso che tra i gruppi faunistici più minacciati ci siano le cozze d’acqua dolce (molluschi bivalvi), i gamberi d’acqua dolce (crostacei), le libellule (odonati), i pesci d’acqua dolce e gli anfibi tutti gruppi strettamente legati alla sorte delle acque interne. Le popolazioni di vertebrati delle acque dolci sono crollate dell’83%.
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Le zone umide offrono numerosi fondamentali servizi ecosistemici, come la regolazione dei fenomeni idrogeologici, attenuando gli effetti delle piene dei fiumi. Le wetlands favoriscono la ricarica delle falde acquifere, sono naturali “trappole per nutrienti”, riducendo il carico organico derivante soprattutto dalle attività agricole e zootecniche. Lagune e laghi costieri sono importanti per l’itticoltura o la molluschicoltura e sono habitat essenziali per la riproduzione dei pesci e di conseguenza per la pesca. Le zone umide sono fondamentali per la fissazione del carbonio presente nella biosfera, con conseguente mitigazione degli effetti del cambiamento climatico. Ma l’aspetto più significativo è rappresentato dalla grande biodiversità caratteristica di questi habitat, tra i più ricchi in assoluto insieme alle barriere coralline e alle foreste tropicali.
Il WWF Italia è fortemente impegnato a proporre e realizzare progetti per la riqualificazione e tutela delle zone umide che possano essere replicati nel resto del Paese. Il grande progetto di rinaturazione del Po, che prevede il recupero di molte zone umide perifluviali, è stato proposto da WWF e ANEPLA e inserito nel PNRR dal Ministero dell’Ambiente per 357 milione di euro; è il primo importante esempio di progetto integrato che coinvolge diverse regioni e che potrebbe e dovrebbe essere replicato e adattato ad altri grandi fiumi, o porzioni di essi, come Adige, Arno, Tevere, Garigliano, Volturno e tanti altri. Il WWF insieme alle Università di Parma, Ferrara e Urbino ha predisposto una proposta per l’abbattimento dei nitrati in eccesso da promuovere, insieme ad agricoltori e consorzi di bonifica, nelle aree più vulnerabili, attraverso un’attenta gestione della rete idrica superficiale e la riqualificazione e l’ampliamento delle zone umide relitte. Infine nelle numerose Oasi WWF in questi ultimi anni, sono stati realizzati centinaia piccoli stagni per anfibi, invertebrati e per molte specie di piante acquatiche divenute ormai rare in natura.
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Le Zone Umide, in particolare quelle costiere, se in buona salute perché difese e ripristinate, diventano un potente alleato per fronteggiare i cambiamenti climatici. Riescono a catturare carbonio perché, come delle ‘batterie naturali’, lo accumulano nella loro biomassa e poi nei sedimenti ad un tasso di 10-20 volte rispetto al potenziale delle foreste boreali o temperate. Se al contrario, le Zone Umide vengono distrutte, non solo si arresta l’assorbimento di carbonio, ma questo viene emesso in atmosfera peggiorando così le emissioni di gas serra.