Forza d’animo, voglia di vivere e tecnologia. In queste parole si riassume la storia di Lietta che ha combattuto e vinto la sua battaglia contro un tumore che, per la sua situazione medica pregressa, si presentava complessa e faticosa. “Quando ci si aspetta di morire e poi invece incredibilmente si aprono gli occhi e sei ancora viva è come una rinascita. Sembra di essere nati in quel giorno...”
Tutto ha inizio con una ciste a un rene che in poco tempo passa da pochi millimetri a 5 centimetri e si rivela essere un tumore. “Dovremmo operare, ma non possiamo” è la risposta che Lietta, una vita dedicata assieme al marito al teatro, si sente ripetere. Per i medici a cui si rivolge infatti “il rischio di mortalità intraoperatoria è dell’80%” visto che Lietta difficilmente potrebbe superare un’anestesia totale dato che ha un solo polmone dopo che l’altro le è stato asportato diversi anni prima per un altro tumore, dal quale è completamente guarita.
Una risposta che però non basta a Lietta che, grazie alla sua voglia di lottare e di vivere, inizia a cercare e a informarsi il più possibile, fino a quando non “incappa” in un articolo in cui si parla del blocco spinale toracico.
“La mia fortuna - racconta infatti la donna - è stata incontrare un articolo di giornale che citava il Professor Gobbi (anestesista e terapista del dolore dell’equipe del Professor Gontero, Direttore della Clinica Urologica dell'Ospedale Molinette di Torino) che utilizzava una metodologia per addormentare molto meno invasiva”.
In quel periodo - conferma il professor Gontero - avevamo operato un paziente, gravemente obeso, da sveglio in laparoscopia asportando completamente un rene”.
Ma quella che a Lietta sembra la soluzione del problema, in realtà nasconde ancora delle criticità. "Un tumore cistico - prosegue il professor Gontero - deve essere affrontato con una delicatezza estrema perché, se si rompe durante l'intervento, contamina tutto il campo operatorio e allora la tecnica chirurgica dev'essere una tecnica estremamente precisa”. E in questo caso, la laparoscopia non era una via praticabile.
Ed è a questo punto che forza d’animo e voglia di vivere di Lietta vengono ricompensate, grazie alla tecnologia. La chirurgia robotica oggi rappresenta la risposta all’esigenza di estrema precisione fondamentale per il buon esito di determinati interventi, riuscendo a miniaturizzare i movimenti della mano del chirurgo.
Un’ennesima variante si inserisce però in questo “percorso a ostacoli”: fino a quel momento la chirurgia robotica non è mai stata usata su pazienti svegli. Di fronte a questa nuova difficoltà, Lietta decide di lanciarsi di nuovo: prima convince il professor Gontero e poi firma una liberatoria totale per assumersi tutta la responsabilità di quel che potrebbe succederle.
“Ho accettato di correre questo rischio perché mi sentivo in buone mani - spiega Lietta -. Sul piatto della bilancia era morire di tumore di qui a qualche tempo oppure rischiarsela. E come sempre è meglio rischiare le cose e affrontarle e possibilmente vincerle piuttosto che lasciarsi andare… e allora abbiamo iniziato quest'altra battaglia”.
Chi abbia avuto la meglio è chiaro. “Finita l'operazione è stato un momento veramente molto particolare e molto bello - racconta Lietta -. Sono scoppiata a piangere e ho ringraziato i medici per la terza vita che mi stavano donando. Ho visto il robot e ho detto: beh ringrazio anche te”. “Non mi sono mai sentita impaurita, non ho mai avuto momento di cedimento ma soltanto una grande fiducia nelle mani di questi straordinari medici e di questo robottino fantastico”.
L’operazione di Lietta è ormai un caso studio che conferma come la chirurgia robotica sia una realtà consolidata. “La laparoscopia e la robotica - conferma il dottor Gontero - hanno aperto la via verso la chirurgia mininvasiva, il concetto di “grande taglio grande chirurgo” non è più vero. E in buona parte anche la laparoscopia tradizionale sta per essere sostituita dalla chirurgia robotica”.