"Gli dica di darmi il pallone qui. Che io poi faccio così, così, così, così, così, così, gol". Quanti "così" ci ha regalato su un campo di calcio Pelé, e quante botte ha preso prima di fare quel gol assurdo in quella "Fuga per la vittoria" che ha emozionato e formato generazioni di appassionati di calcio e cinema. Di reti in carriera ne ha segnate talmente tante da non poterle ricordare tutte, sublimate nel nostro immaginario in quella rovesciata in faccia ai nazisti. Con quegli occhi sbarrati e fissi sulla palla, con quelle braccia che disegnano il movimento in aria, con quelle gambe che fluttuano come fossero piume, con quello scarpino nero che colpisce pallone e cuori. Il re del calcio è stato anche un re del cinema, dal film cult di John Houston del 1981 al documentario di Netflix "Pelé: il re del calcio del 2021".
Al fianco di fuoriclasse del grande schermo come Michael Caine e Sylvester Stallone, O Rey Pelé sembrava "uno di loro". Quasi non fosse un extraterrestre piovuto sulla Terra a mostrarci un calcio mai pensato e mai giocato prima, figurarsi dopo. Un calcio che ha avuto il coraggio di affondare le radici nel sottobosco amazzonico della "ginga" brasiliana, il passo base della capoeira che da Pelé in avanti divenne lo stile di gioco di un Paese e di una scuola calcistica destinata a dominare il mondo. Quel "futebol bailado" che ha regalato al Brasile tre Mondiali e al re oltre mille gol.
Il racconto della consapevolezza e della crescita di Pelé come campione, dalla miseria alla gloria, e della ginga è al centro non solo della vita del leggendario calciatore, ma anche di un film: "Pelé: Birth of a Legend" del 2016. Il Vangelo secondo Pelé, in pratica, che segue tutti i suoi passi: dalle favelas di Três Corações, a Minas Gerais, all'approdo al Santos fino al trionfo al Mondiale di Svezia 1958, il primo nella competizione del diciassettenne destinato all'Olimpo. Il calcio al ritmo di berimbao, uno strumento musicale a corda, nel film viene "ballato" da Kevin de Paula. Ma in qualche fotogramma compare anche il campione in carne e ossa, nei panni di un avventore dell'albergo svedese in cui il Brasile delle Meraviglie di Garrincha e della "filastrocca" Didì, Vavà, Pelé fa danzare il pallone nella hall, suscitando lo sdegno dell'ingessata e snob clientela occidentale. A un certo punto la palla urta una zuccheriera, rovesciandone il contenuto su un tavolino. A un capo il ragazzino che sarà leggenda, all'altro la leggenda. Passato e futuro, occhi negli occhi. "Mi scusi, signore", dice il diciassettenne Pelé al sé stesso reale, ma "falso" nel film. Il campione (quello vero) allarga le braccia e non replica con le parole, ma con un sorriso e gli occhi brillanti e stanchi di chi dietro a una palla ha corso tutta la vita.
Buona la prima: rovesciata al primo ciak -
È però senza dubbio "Fuga per la vittoria" che ha restituito al mondo, anche a chi di calcio non vuole saperne, l'immagine più nitida di Pelé. L'immagine di un genio della cinestetica, che modifica e detta il movimento in relazione al movimento degli altri corpi. Prevedendo, anticipando, scansando, superando. Nella realtà come nella finzione. La rovesciata con cui il caporale Luis Fernandez sigla il 4-4 contro i tedeschi sul finale del match è stata girata al primo ciak, senza doverla ripetere. D'altronde stiamo parlando di Pelé, anche se il regista non era così fiducioso: Houston predispose infatti il set pensando di dover ripetere la scena svariate volte. Merito anche di un altro dio del calcio che prese parte alla pellicola: il grande Bobby Moore, capitano dell'Inghilterra Campione del mondo nel 1966, che pennellò un cross al bacio per l'acrobazia di Pelé. L'esultanza dei giocatori "alleati" nel film è stata condivisa anche dal resto del set per il grande spettacolo riuscito al primo colpo, con Houston in versione ultrà, corso ad abbracciare il caporale Fernandez, meglio noto come Pelé. "John continuava a dirmi di rilassarmi, ma io avevo fame di gol pure sul set, come in una partita vera", avrebbe poi affermato il dio del calcio in un'intervista.
Pelé, il re del calcio -
L'ultimo film dedicato a Pelé è stato "Pelé: the King of Soccer", documentario prodotto e distribuito da Netflix nel 2021. Un affresco del campione, con un focus attento su cosa ha significato la sua figura anche in campo sociale, con una vicenda che intreccia sport e politica in un periodo non facile del Novecento brasiliano e mondiale. Le immagini tracciano la parabola di 12 anni straordinari, che vanno dal 1958 al 1970, in cui Pelé vince tre Coppe del Mondo e conquista ogni occhio che abbia avuto la fortuna di posarsi su di lui in maglietta e pantaloncini verdeoro.
Pelé attore, dal cinema alla TV -
Tra "Fuga per la vittoria " e "Il re del calcio", Pelé non è di certo rimasto seduto tra il pubblico. Nel suo Dna il gene dello spettatore non deve aver trovato proprio spazio. Nel 1983 ritrova proprio Houston, in veste di attore, sul set di "Giovani giganti" ("A Minor Miracle"o "Young Giants") diretto da Terrell Tannen. Pelé interpreta se stesso in una sorta di rifacimento di "Os Trombadinhas", in cui veste i panni di un tutore-allenatore che si prende cura di un gruppo di orfani che giocano per salvare il loro istituto. Il campione conquista definitivamente il pubblico del grande schermo, che si reca in sala solo per ammirare lui, nel 1985 con "Pedro Mico" di Ipojuca Ponte. Nonostante si tratti di poco più di una comparsata, sul manifesto ufficiale del film campeggia l'immagine di Pelé. Nel 1986 è la volta di "Hotshot" di Rick King, in cui recita la parte del mentore di un giovane calciatore statunitense che lascia la famiglia, ricca e snob, per inseguire il suo sogno di giocare in Brasile. Tre anni dopo è sul set di "Solidão, Uma Linda História de Amor" di Victor Di Mello, nelle inedite vesti di un "innamorato". Nel curriculum artistico di Pelé finiscono poi le partecipazioni speciali nelle serie tv "O Salvador da Pátria" (1989) e "O Clone" (2001). Sempre nel 2001, Pelé è protagonista di un cameo in "Mike Bassett: England Manager", commedia calcistica diretta da Steve Barron su un allenatore uscito dal giro che conta e poi finito per caso sulla panchina della Nazionale.