Leo Gullotta festeggia 60 anni di carriera. Uno degli attori italiani più talentuosi e poliedrici, ripercorre la sua avventura tra teatro, cinema, tv, doppiaggio, nell'autobiografia scritta a quattro mani con Andrea Ciaffaroni "Leo Gullotta, la serietà del comico" (Sagoma Editore). Un racconto intenso e sincero, che parte dal Fortino, il quartiere popolare di Catania dove nacque nel '46, ultimo di sei figli, passa per gli esordi in teatro con Turi Ferro, Salvo Randone, Ave Ninchi e arriva fino a Roma, dove conoscerà il grande successo di cinema e tv.
Quella di Leo Gullotta è una carriera iniziata quasi per caso, accesa più che dal "fuoco sacro" da un'innata curiosità. "Un giorno nei corridoi della mia scuola trovai un manifesto del Centro Universitario Teatrale - racconta -: bandivano due mesi di corsi per solo dodici allievi. Non sapevo cosa fosse né di cosa si trattasse, ma ero curioso, notavo questa fila di universitari molto più grandi di me. E mi sono messo in coda".
"Papà Carmelo era pasticciere e poi operaio. Ci ha fatto vivere con grandissima dignità e ha mandato tutti noi figli a scuola - prosegue - Quando mi trovai al bivio, se fare l'insegnante o l'attore, mi rispose: quando tu magari avrai cinquant'anni mi dispiacerebbe che mi ricordassi per averti indirizzato a una scelta lavorativa che non hai amato. Scegli tu, fai quello che più desideri. Fu una grande lezione".
Nel volume emerge chiaramente come Gullotta sia stato un attore capace di lasciare il segno in svariati campi, usando i registri più diversi. Da film impegnati come "Il camorrista", "L'uomo delle stelle", "La scorta", "Un uomo per bene", passando per le risate del Bagaglino, ha lavorato con registi come Nanni Loy, Maurizio Zaccaro, Giuseppe Tornatore, i Vanzina. E poi il teatro, passando da Pirandello a Shakespeare e Melville. "Non ho mai fatto distinzioni tra ruoli da protagonista e non. Per me conta il progetto - dice - Anche negli anni del cinema delle 'dottoresse' ho imparato, ad esempio il rapporto con la macchina da presa". Quanto ai premi (Tre David di Donatello, due Nastri d'Argento, un Globo d'Oro, un Ciak d'Oro, due Premi Flaiano e un Efebo d'oro), "è bellissimo riceverli - dice - La mattina dopo, però, devi avere il coraggio di lasciarli sulla mensola dello studio e ripartire, sapendo che dovrai dare ancora di più".
Un passaggio è dedicato poi a quando, a metà degli anni 90, in un'intervista parlò per la prima volta della sua omosessualità (e per questo saltò il suo nome per il Don Puglisi televisivo). "Mi domandarono e io, serenamente, risposi - ricorda - Sono sempre stato molto sereno, ma l'Italia è fatta di provincia, di paesini, dove la gente soffre di più nello scoprire qualsiasi nota, figuriamoci l'omosessualità. Credo che con il tono giusto si possa parlare di tutto. E ho sempre cercato di dire a chi aveva 'il problema' di non avere paura, così come alle famiglie che dovevano solo dare amore. Passi in avanti da allora ne sono stati fatti, ma ancora se ne devono fare con voglia di costruire", dice Gullotta.
Ma a guardarsi indetro e a ripensare alle parole di papà Carmelo, prese la decisione giusta? "Secondo me si - conclude - Se non altro, ho fatto tutto rispettando il pubblico nel lavoro e cercando di esser una persona per bene nella vita".