Approvata la direttiva europea sul "dovere di diligenza" in materia di sostenibilità ambientale e rispetto dei diritti umani da parte delle grandi imprese dell'Ue o con un fatturato rilevante nell'Ue. Ma cosa cambierà nel mondo industriale del Vecchio Continente? A spiegarlo a Tgcom24 è Fabrizio Zucca, membro del comitato scientifico e coordinatore del laboratorio sostenibilità di Eurispes.
Cosa sta succedendo a livello di regolamentazione europea sulla questione?
Il 28 novembre il Consiglio europeo ha approvato in via definitiva il testo della nuova direttiva sulla comunicazione delle imprese in materia di sostenibilità ed ha così aggiunto un nuovo tassello a un quadro normativo già molto complesso, che, se analizzato nel suo insieme, rende evidente la svolta verso un nuovo paradigma di sviluppo. Il nuovo atto, infatti, conferma e rafforza una strategia europea che segue una propria interpretazione del mondo in evoluzione e soprattutto segna un momento di discontinuità rispetto al passato; probabilmente, per dimensioni e impatto, il cambiamento più radicale dalla prima rivoluzione industriale. I provvedimenti regolamentari, se visti nel loro insieme, porteranno a una modifica radicale del business model di molte aziende e soprattutto nella trasparenza delle informazioni provenienti dal mondo imprenditoriale.
Per contestualizzare, di cosa necessita oggi il nostro mondo per produrre beni di consumo allo stato attuale? E facendo proiezioni per il futuro?
Nel nostro sistema permane un paradosso di fondo che dovrebbe essere affrontato in modo radicale per fare chiarezza sul reale significato del principio della sostenibilità e sulle motivazioni per cui sta diventando sempre più importante tenerlo in considerazione nella definizione dei modelli di sviluppo. In realtà, attualmente, il modello che prevale induce le imprese a continuare a cercare mercati su cui vendere sempre più prodotti. Questi mercati sono individuati nei Paesi con economia avanzata, nei quali i consumi sono intensificati con le attività di marketing o con l’offerta di prodotti di obsolescenza rapida; ovvero, nei mercati emergenti dove una nuova classe media o ricca contribuisce ad alimentare la domanda dei beni. Il fatto è che In questi mercati l’aumento del loro livello di ricchezza è sostenuto o dalla crescita di attività estrattive e di sfruttamento delle risorse naturali o dallo sviluppo di capacità manifatturiere che a loro volta entrano in competizione con quelle già esistenti sui nostri mercati. Il risultato di questa situazione è, innanzitutto, una accelerazione del processo di utilizzo delle risorse naturali del pianeta.
Parlando, dunque, di risorse, non solo gas e petrolio. A rischio esaurimento nei prossimi cento anni anche materie prime quali zinco e rame calcolando che il mondo resti lo stesso di oggi. Il processo potrebbe, invece, accelerarsi nel caso in cui il mondo corresse verso il progresso allo stesso modo e alla stessa velocità in ogni angolo. E' per questo che l'Europa corre già da oggi ai ripari?
In questi mesi si è parlato molto di gas o di terre rare ma in realtà sono molte le materie prime che nei prossimi cento anni potrebbero diventare critiche. Anche materiali che consideriamo comuni come il rame o lo zinco. Se dovessimo continuare a utilizzarli con questa progressione andremmo in contro a scarsità in tempi tutto sommato non così lunghi. Un indicatore di questa tendenza è "l'overshooting day", cioè il giorno in cui terminano le risorse generate dal Paese per l’anno in corso e si inizia a utilizzare quelle dell’anno successivo. Solo qualche anno fa questo giorno cadeva a dicembre quindi più o meno in modo allineato all’anno solare. Quest’anno è caduto in luglio e con questo ritmo presto sarà nei primo trimestre dell’anno. In altre parole, in un anno, sarà necessario utilizzare da due a tre volte le risorse prodotte dal pianeta nell’anno in corso. Se permane invariato, questo modello rischia alimentare tensioni tra i Paesi più voraci e quelli più poveri, ma anche all’interno dei Paesi più ricchi tra chi potrà avere accesso ai prodotti e risorse e chi invece tenderà a impoverirsi per le spirali inflattive che la carenza delle materie prime potrebbero innescare. Di conseguenza, già la prossima generazione potrebbe doversi confrontare con una sempre maggiore scarsità di risorse naturali disponibili, con costi crescenti nel loro reperimento, con una conseguente inflazione indotta che aumenterà le differenze tra paesi ricchi e poveri, ma anche tra i gruppi sociali ricchi e poveri all’interno dei paesi sviluppati.
Mi pare che sia dunque necessario proprio un cambio di mentalità. Come sarà possibile?
Il cambiamento deve essere prima di tutto culturale e valoriale. La ricchezza e il benessere non possono più essere unicamente associati al consumo di risorse e soprattutto noi europei dobbiamo iniziare ad accorgerci che esiste un mondo al di fuori dell’Europa, che rappresenta la maggior parte degli abitanti del pianeta. Una consapevolezza diffusa di questo scenario potrebbe indurre molti più operatori a modificare il loro modello di attività per renderlo sostenibile, cioè più in grado di affrontare e resistere alle perturbazioni che potrebbero colpirli in futuro, più resilienti e capaci di continuare a generare valore per i propri azionisti e per le comunità di riferimento (stakeholders). In questo senso, l’idea della sostenibilità non deve essere intesa come un mero valore etico (valore che comunque non deve essere messo in discussione), ma piuttosto come una idea-guida di un processo di transizione equa e funzionale alla sopravvivenza stessa del sistema economico così come lo abbiamo conosciuto fino ad ora.