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La mancanza di piogge cambia il volto di fiumi e laghi

La siccità estrema che dura ormai da fine 2021 non si ferma e l’urgenza viene solo ridimensionata nel centro e nel sud del Paese. Dal Po al Lago Maggiore, dal Trasimeno al Lago di Garda: le riserve idriche sono dimezzate e nei bacini montani c’è solo il 30% d’acqua

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Il mese di ottobre è stato il più caldo di sempre per il Nord Italia con uno scarto di oltre tre gradi sulla media storica, dopo un’estate che si è tradotta in sei miliardi di euro di danni all’agricoltura e un calo del 10% della produzione agroalimentare.

La siccità estrema che dura ormai da fine 2021 non si ferma e l’urgenza viene solo ridimensionata nel Centro e nel Sud del Paese, dove si è registrato un ottobre che è stato rispettivamente il quarto e quinto più caldo di sempre.

Dal Po al Lago Maggiore, dal Trasimeno al Lago di Garda, a quello d’Iseo: le riserve idriche sono dimezzate e nei bacini montani c’è solo il 30% d’acqua. A lanciare l’allarme è l’Associazione Italiana dei Consorzi di Bonifica, che sottolinea come molti degli alvei oggi in secca siano stati recentemente protagonisti di rovinose esondazioni. A ciò si aggiunge un altro dato allarmante: il 70% in meno di precipitazioni nevose in montagna, causa principale della riduzione della portata del Po e del Tevere rispettivamente dell’11% e del 15% rispetto agli ultimi vent’anni. Per questo alcune regioni hanno richiesto lo stato d’emergenza e alcuni comuni sono stati costretti ad adottare misure di razionamento dell’acqua.

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Se non inizia a piovere con regolarità, il nuovo anno partirà già in sofferenza idrica, come confermano i livelli minimi dei grandi laghi del Nord, che se nel 2021 facevano segnare percentuali di riempimento pari a 60%, oggi si attestano tra i 6% e il 22% massimo. I fondali diventano spiagge, gli aliscafi sono costretti a saltare alcuni scali minori e soprattutto i laghi sono sempre più irriconoscibili. Anche quelli iconici, come il Lago di Resia in Val Venosta, famoso per il campanile che spunta dalle acque nate dalle chiuse serrate nel 1950 per dar vita a una contestata diga idroelettrica che levò le case a 150 famiglie costrette a emigrare. I resti di quelle abitazioni, a 72 anni di distanza dall’esplosione che precedette la realizzazione del bacino artificiale, tornano alla luce oggi, quasi a voler ricordare quanto successo allora.

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