Una partita epica tra coscienza collettiva e intima. Davide Enia torna al Teatro Grassi di Milano con "Italia-Brasile 3 a 2" per un anniversario speciale. Nel quarantennale dalla famosa partita del Campionato Mondiale di Calcio 1982 giocata allo stadio Sarrià di Barcellona, ripropone in una nuova versione il suo spettacolo cult, nel ventennale del suo debutto. Sarà in scena dall'8 al 20 novembre e a Tgcom24 ha raccontato perché è tornato a confrontarsi con quel testo che ha per lui un significato particolare...
Paolo Rossi, Dino Zoff, Bruno Conti insieme a Falcao, Zico e Socrates non hanno niente da invidiare a Orlando o Rinaldo. Le loro gesta sono parte della memoria collettiva. E rivivono nel racconto dei 90 minuti di "Italia Brasile 3 a 2" di cui Davide Enia offre una personale telecronaca non solo dei personaggi e fatti in campo quel giorno ma anche di quelli assiepati contemporaneamente davanti alla tv del salotto di casa sua.
Quella partita della Nazionale contro il Brasile diventa per l'attore, regista e romanziere uno strumento liberatorio, spunto per rievocare il ricordo, intriso di gioia, di quella vittoria, insieme a non poche domande: cosa resta oggi delle voci e delle gesta dei tanti protagonisti di quella avventura? E quanto siamo cambiati, noi e il mondo, da allora? Ma c’è anche qualcosa che appartiene a una dimensione più profonda, legata a doppio filo con l’essenza del teatro stesso: il rapporto tra i vivi e morti.
Qual è il valore e l'importanza di Italia-Brasile 3 a 2 nella tua vita e nel tuo teatro?
"Italia-Brasile 3 a 2" è il mio primo spettacolo fatto e finito, è il lavoro che mi ha permesso di vivere facendo questo mestiere, è lo spettacolo che mi ha insegnato quanto sia necessario abbandonarsi anima e corpo alla felicità condivisa, perché è anche tramite la gioia che si crea il senso di appartenenza e di comunità.
Perché hai deciso di riportare in scena oggi lo spettacolo dopo 20 anni, oltre all'anniversario?
Dopo "L’abisso", che continuo a portare in giro, volevo tornare a fare un spettacolo felice, soprattutto in questi tempi in cui il conflitto sociale è sempre più vicino. E anche per tornare a incontrare di nuovo quelle presenze, mio zio Beppe e Paolo Rossi su tutti, oggi che la loro assenza ha lasciato un grande buco luminoso. È un modo di tornare a fare dialogare i vivi e i morti, che è alla fine il senso di tutto.
Il calcio è sempre stato romanzo e teatro. Ma lo è ancora quello di oggi?
Se per calcio intendiamo il calcio, ovvero la gioia di correre appresso a una palla, sì. Se intendiamo il mercato con le sue ignobili e oscure manovre finanziarie, no, ma è colpa del mercato e dei suoi spregiudicati interpreti, il calcio sta altrove: dove si gioca per il puro piacere di giocare, di fare un tunnel a chi si sente meglio degli altri, di segnare un bello gol all’incrocio dei pali e poi abbracciare tutti come se si fosse vinta la Coppa del Mondo.