Le piccole e medie imprese italiane giocano la carta dell'innovazione per affrontare i continui cambi di contesto ed essere competitive anche in momenti complessi come quello attuale. La preoccupazione in vista dei prossimi mesi è inevitabile: gli effetti dello shock energetico causeranno un rallentamento significativo dell'economia italiana e il nuovo scenario macroeconomico rappresenta una sfida per le imprese, in particolare per quelle con meno propensione all'innovazione. "I dati confermano che chi investe in Ricerca e Sviluppo riesce ad avere ritorni importanti in termini di crescita e di redditività", spiega Giovanni Foresti, economista della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, a margine della seconda tappa di "Imprese Vincenti" dedicata proprio alle Pmi che si sono distinte per la capacità di innovare.
Saranno mesi difficili, "ricordiamoci però che veniamo da una prima parte dell’anno particolarmente brillante - sottolinea Foresti -. L'economia italiana quest'anno chiuderà probabilmente con una crescita del Pil intorno al 3,5%, un dato davvero positivo. Le criticità arriveranno nei mesi autunnali: le imprese, tuttavia, possono vantare una struttura patrimoniale più solida rispetto al passato e una buona liquidità al proprio attivo".
L'analisi elaborata da Intesa Sanpaolo su un campione di circa 62.800 imprese manifatturiere italiane con un fatturato superiore a 400mila euro nel 2019 conferma prestazioni migliori per le imprese con brevetti. Dai dati emerge una maggiore tenuta del fatturato nel 2020 (-7,9% la variazione, tre punti percentuali meglio del resto delle imprese) e livelli di EBITDA margin saliti nel 2021 al 10,1% (contro l'8,8% delle aziende senza brevetti). La predisposizione a innovare delle imprese italiane "può essere un traino per l'economia del Paese - conferma Foresti -. Sicuramente una maggiore diffusione di comportamenti virtuosi, con un aumento strutturale della propensione a investire in innovazione, può portare a un innalzamento del potenziale di crescita del nostro Pil".
Su questo fronte giocano un ruolo importante le nuove generazioni. L'analisi dimostra che imprese con giovani all’interno del Cda hanno una propensione a innovare significativamente superiore rispetto alle altre. La strada da fare, tuttavia, è ancora molta, come spiega Giovanni Foresti. "L'Italia in termini di R&S presenta un gap rispetto ai nostri principali partner europei. La nostra propensione a investire in Ricerca e Sviluppo è salita nel tempo: nel 2020 in percentuale del PIL è, infatti, stata pari all’1,51% (era all’1% nel 2000). Tuttavia rimane la metà rispetto alla quota registrata in Germania (al 3,13%, dal 2,41% di 20 anni prima). I dati confermano però che chi investe in innovazione riesce ad avere ritorni importanti in termini di crescita e di redditività".