Il rastrellamento del Ghetto di Roma rappresenta una delle pagine più buie della storia italiana. All'alba del 16 ottobre 1943 i nazisti costrinsero 1.259 cittadini (689 donne, 363 uomini e 207 bambini) ad abbandonare le loro abitazioni per essere caricati in carri da bestiame in direzione dei campi di sterminio. Sono passati 79 anni da quello che fu definito il "Sabato nero" nel quale fu sradicata con la violenza la minoranza ebraica dalla capitale.
I rastrellamenti della Gestapo partiti dal ghetto di Via del Portico d’Ottavia non risparmiarono neanche altri quartieri romani: da Trastevere a Testaccio, da Monteverde al Salario. Le SS scelsero con crudeltà il momento in cui agire: era il giorno del riposo per gli ebrei che celebravano anche la festa del Sukkot. In questo modo, i soldati nazisti si erano assicurati di trovare "tutti gli ebrei, senza distinzione di nazionalità, età, sesso e condizione" in casa. "Trasferirli e liquidarli" era la volontà del Reich.
Costretti a lasciare tutto - Furono portati a forza a Palazzo Salviati. Nello storico palazzo sul lungotevere vicino al Vaticano scoprirono cosa stava accadendo: gli furono distribuiti biglietti scritti in italiano con le istruzioni per l'imminente deportazione. Tra loro c'erano anche due donne incinte che partorirono due bambine nel cortile dell'ex collegio militare della capitale. Solo 227 persone vennero rilasciate perché provenienti da famiglie "miste".
Nessun bimbo superstite - Quella mattina del 18 ottobre 1943 dalla stazione Tiburtina partirono più di mille persone, costrette a salire su un convoglio con 18 carri da bestiame. La maggior parte delle persone fu deportata nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Per le vittime di quella razzia fu un viaggio senza ritorno: solamente in 16 sopravvissero, 15 uomini e una donna, Settimia Spizzichino, morta nel 2000. Nessun bambino uscì vivo da quell'inferno.