l'intervista di tgcom24 all'autore

"Il filo dell'aquilone. Vita di Astorre Cantacci", il primo romanzo di Paolo Del Debbio

L'editorialista e conduttore tv parla a Tgcom24 del suo nuovo libro. Al centro il valore della compassione, il tema della libertà e una riflessione sul male

di Claudia Franchini

© Ufficio stampa

Con "Il filo dell’aquilone. Vita di Astorre Cantacci" (Mondadori, 180 pp., 18,50 euro), Paolo Del Debbio fa il suo esordio nella narrativa. "Vent’anni fa mi venne in mente l’inizio", dice il giornalista a Tgcom24, "quella notte doveva essere come tutte le altre ma così non fu. Dietro quella notte ci sarebbe stato uno sconvolgimento totale". Il protagonista di questo intenso romanzo è un uomo che si sente costantemente limitato nella sua libertà, costretto a vivere in una sorta di gabbia. Era stato abbandonato in fasce in un convento di suore e chiamato dall’impiegato dell’anagrafe Mario Casa, acronimo di Cum Amplexo Sine Amore, quasi per segnalare implicitamente la sua origine "impura". Diventerà poi Astorre Cantacci quando sarà adottato e finalmente avrà due genitori.

Crescerà a Milano, nel dopoguerra, negli anni della ricostruzione e della speranza, circondato dall'amore della sua famiglia adottiva. Eppure, ha un vuoto che lo attanaglia. La mente di Astorre fatica a stare ancorata alla realtà, preferendo vagare tra fantasie e sogni a occhi aperti ma qualsiasi cosa faccia si sente in gabbia, mai libero. La sua vita è intrisa dall’inquietudine, dall'insoddisfazione e dall'incompiutezza.  

Rimugina senza darsi pace e non è difficile per il lettore immedesimarsi in lui e negli angoscianti tormenti davanti a cui, probabilmente, anche tutti noi ci siamo già trovati o ci troveremo. È il passato che lo tormenta o l’incertezza del futuro? "È un personaggio attuale, perché oggi noi di gabbie ne abbiamo provate tante. Quella del Covid, delle bollette, della guerra. Situazioni che limitano la nostra libertà perché non ne possiamo uscire da soli. Siamo in mano ai grandi della Terra", dice l’autore. 

Viene naturale combattere col protagonista per cercare insieme di districare il fitto groviglio di interrogativi che lo assalgono, il primo sulla libertà. Tutto cambia in un giorno battuto dal vento, quando incontra un monaco davanti a un campo dove i bambini inseguono l’aquilone. Il monaco gli indica i bambini e chiede: "Perché quegli aquiloni volano?" Alla risposta immediata: "Sono costruiti bene", il monaco ribatte: "Sei superficiale, vai un po’ più a fondo. Volano perché le manine di quei bambini li tengono ancorati a terra. E la libertà è così, è inutile cercarla in assoluto, la libertà da tutto e da tutti non esiste".   

Paolo del Debbio ha scritto un coinvolgente romanzo di formazione che, attraverso riferimenti di natura teologica e filosofica, affronta i temi della libertà dell'uomo, del male e della compassione. Del resto, il libro prende spunto dalla strage della certosa di Lucca, città natale di Del Debbio, un eccidio giustificato dai tedeschi come rappresaglia per un agguato teso alle brigate nere ma che ricade, in realtà, nella strategia di repressione di uomini di chiesa individuati come oppositori. Una sanguinosa tragedia in cui persero la vita sei monaci sacerdoti e sei monaci fratelli, deportati insieme ad altri ventidue religiosi, poi sopravvissuti, e a trentadue civili catturati e poi uccisi anch’essi.  

Ogni singola pagina fa riflettere su qualcosa. Abbiamo letto il libro subito, d’impatto, e poi lo abbiamo riletto perché la prima lettura è emozionale e la seconda è critica. "Umberto Eco diceva che quando costruisci un personaggio dopo un po’ è lui che ti conduce nella storia perché entri nella sua psicologia" afferma Del Debbio, e in questo caso è ciò che succede anche a chi legge, che verrà inevitabilmente trascinato dentro il romanzo.