Divisionismo, spiritualismo, dinamismo, vita moderna, tridimensionalità, polimaterismo, simultaneità, parole libere, guerra, ricostruzione futurista dell'universo: questo è il glossario utilizzato a Palazzo Zabarello di Padova per accompagnare il visitatore nelle sale dove, fino al 26 febbraio 2023, è in mostra il "Futurismo. La nascita dell'avanguardia 1910-1915". Oltre 120 opere, per lo più appartenenti a un arco cronologico che va dal 1910 al 1915, cioè dal Manifesto dei pittori futuristi al Manifesto della Ricostruzione Futurista dell'Universo (firmato da Fortunato Depero e Giacomo Balla), che coincide con l'ingresso in guerra dell’Italia, uno spartiacque definitivo nelle ricerche artistiche del gruppo.
Uno dei punti di forza della mostra è di aver voluto sottolineare e meglio definire le radici del movimento. Irriverenti, rivoluzionari, sovversivi, ironici e indisciplinati, nel costruire la loro rivoluzione teorica ed estetica, i giovani futuristi sono però partiti da due correnti di fine Ottocento: il Simbolismo e il Divisionismo. In particolare la pennellata filamentosa e divisa di Segantini, di Pellizza da Volpedo e di Previati (artista molto amato da Boccioni), ribattezzata "complementarismo congenito" nel Manifesto tecnico della pittura futurista del 1910, è alla base della pittura futurista: Balla, Boccioni, Carrà, Russolo e Severini (ma anche Soffici, Sironi, Gino Rossi, Funi…), sono tutti passati da lì, hanno guardato al colore e alla tecnica divisa per superare il passato e progettare il futuro.
E se lo spiritualismo e il richiamo ai sentimenti è ben rappresentato dagli Stati d'animo di Boccioni (del 1911), con l'emozione e la malinconia di Quelli che restano e Quelli che vanno, il rombo dei motori, il dinamismo dei cavalli in corsa, la simultaneità delle forme, dei colori, delle immagini e dei suoni esplodono nelle opere di Carrà, Boccioni, Depero, Russolo e Prampolini per divenire i punti chiave del movimento: "un'automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia", recitava il primo Manifesto futurista, uscito il 20 febbraio 1909 sulle pagine del parigino "Le Figaro" a firma di Filippo Tommaso Marinetti.
Lo spirito di rottura con i canoni del passato è il cardine della Vita moderna, è alla base degli avveniristici palazzi di Antonio Sant'Elia, dei colorati e audaci dipinti di Depero (così come delle sue marionette, degli abiti e dei mobili), ma anche delle tele di Aroldo Bonzagni e Achille Funi, che divengono gli emblemi del desiderio di un'esistenza lontana dall’immobilismo e dalla tradizione accademica. "Noi futuristi, Balla e Depero, […] ricostruire l'universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all'invisibile, all'impalpabile, all'imponderabile, all'impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell'universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto", così si legge nel manifesto della Ricostruzione Futurista dell'Universo, pubblicato a Milano l'11 marzo 1915.
È la teorizzazione di un'avanguardia che diventa arte-azione, volontà, ottimismo, aggressione, possesso, penetrazione, gioia, simultaneità e proiezione in avanti. Forme uniche della continuità nello spazio e Sviluppo di una bottiglia nello spazio di Boccioni, Complesso plastico colorato di linee-forza di Balla (appositamente ricreato per questa rassegna poiché andato perduto) e le Marionette dei Balli plastici di Depero sono tra gli esiti più alti di questa dirompente e incontenibile energia. Il sogno di un'opera d'arte "totale", capace di superare gli angusti e convenzionali confini del quadro e della scultura per coinvolgere tutti i sensi, è ormai divenuto realtà.