Alessia Piperno è detenuta da una settimana nel carcere di Teheran, tra i dissidenti del governo iraniano. La travel blogger italiana arrestata in Iran si trova in una cella dell'istituto penitenziario di Evin tra i prigionieri politici. Nei giorni precedenti l'arresto, la giovane ha condiviso post sui social che non sono passati inosservati a chi monitora le proteste scaturite dall'uccisione di Mahsa Amini. È proprio su queste circostanze che si cerca di far luce per aprire uno spiraglio alla liberazione di Alessia, attraverso una soluzione diplomatica cui la Farnesina sta lavorando: la più rapida sembra l'espulsione dall'Iran.
Gli interrogativi - La giovane viaggiatrice, che era entrata regolarmente nel paese dove soggiornava già da due mesi e mezzo, era stata fermata a causa di problemi con il visto? Oppure perché nel suo ostello si era rifugiato chi era tra le fila delle proteste studentesche di queste settimane? Si può escludere che la sua presenza possa aver suscitato diffidenze in qualche agente a caccia di "sobillatori" stranieri? Le uniche tracce, non sufficienti a dare risposte, restano nei suoi appunti di viaggio e nei suoi spostamenti.
Il visto scaduto - È certo che Alessia abbia trascorso un periodo anche nel Kurdistan iraniano, una zona che viene costantemente monitorata per via delle istanze anti-regime e dove una donna straniera non passa certo inosservata. La situazione comincia a complicarsi dal 14 settembre, data di scadenza del visto di soggiorno della blogger, come confermava lei stessa in un post, intenzionata a tornare in Pakistan ma impossibilitata per il permesso non ancora arrivato. "Mi sta dicendo malissimo in Iran - scriveva - non c'è affinità perché viaggiare qui per una donna sola non è semplice anche se non ho mai avuto paura. Me ne voglio andare, anche se mi stanno cacciando loro... Sono andata a chiedere di rinnovare il visto, non mi hanno nemmeno guardata in faccia e mi hanno detto solo 'rejected', richiesta respinta, quindi entro mercoledì me ne devo andare".
Il soggiorno prorogato e il racconto delle proteste di piazza - La 30enne aveva cercato un bus, ma per via di una festività i pullman erano tutti bloccati. Poi, racconta nel suo diario, "mentre camminavo disperata per la stazione, un signore dolcissimo che parlava inglese mi ha chiesto se mi serviva una mano. Gli ho spiegato il problema del visto, lui mi ha detto di stare tranquilla: 'Domani andiamo insieme all'ufficio e ti aiuto io a farti rinnovare il visto'". E così, in attesa del lasciapassare dal Pakistan, Alessia Piperno aveva ottenuto di restare fino a metà ottobre ancora in Iran, dove raccontava su Instagram delle manifestazioni di piazza e di come un giorno nel suo ostello erano arrivate alcune persone per chiedere loro aiuto, spaventati dagli scontri. La domanda è d'obbligo: chi era la persona che l'ha aiutata con il visto?
Un carcere crudele - Il 28 settembre la situazione precipita. Scatta l'arresto e il trasferimento a Evin: un carcere tristemente conosciuto per i suoi metodi particolarmente crudeli attraverso le diverse testimonianze dei fuoriusciti, che parlano di esecuzioni - molte finte e messe in atto per fare pressioni psicologiche sui prigionieri - pestaggi e torture. Chi conosce quel carcere spiega che l'istituto è diviso in tre strutture: una è per i detenuti comuni, un'altra è nelle mani dell'intelligence iraniana, che è direttamente collegata alla Sezione 209, specifica per quei detenuti politici, anche stranieri, che vengono arrestati.
Detenuti politici e manifestanti - La Sezione 209 in queste settimane appare molto affollata a causa degli arresti dovuti alle agitazioni scatenate dopo la morte di Mahsa Amini. Proteste che la magistratura in Iran promette di fermare duramente, con punizioni esemplari per i "mercenari" al servizio di interessi stranieri che aizzano i manifestanti.
Massimo riserbo - In Italia, chi lavora sotto traccia alla liberazione, ribadisce la necessità di mantenere il riserbo sull'intera vicenda, per evitare di compromettere i tentativi per riportare in Italia la blogger. Anche gli amici di Alessia chiedono il silenzio con la speranza di rivederla il più presto possibile. "Non crediamo che avrebbe voluto leggere commenti beceri e ignoranti sotto agli articoli in cui si parla della sua vicenda. Purtroppo l'odio che trasuda da questi commenti è lo stesso che c'era stato per il caso di Silvia Romano".