Ad aggredire Alessia Pifferi, la donna che ha lasciato morire di stenti sua figlia Diana, di un anno e mezzo, sarebbe stato un gruppo di detenute presenti nel carcere di San Vittore a Milano. Le donne avrebbero approfittato dell'unico momento in cui la donna non era in isolamento. La 36enne, infatti, stava raggiungendo una suora che le offre assistenza sin dai primi giorni in cella. A riportare l'aggressione è stato il suo avvocato: "Presa per i capelli e schiaffeggiata".
Dopo l'aggressione Alessia Pifferi vivrebbe "nella paura che qualcuno possa fargliela pagare dietro le sbarre" fa sapere il suo avvocato.
Per la donna accusata di omicidio, al momento, non è consentito l'ingresso in carcere di un consulente di difesa. Il giudice per le indagini preliminari ha negato la possibilità di consulenza neuroscientifica in quanto "si è sempre dimostrata consapevole di quello che stava succedendo alla figlia".
Ma i legali della difesa della madre della piccola Diana, respingono questa versione: "Noi non abbiamo chiesto una perizia per verificare se Alessia sia capace d'intendere e di volere. Dubitiamo invece della sua capacità di comprendere, di elaborare il pensiero. Per questo servono i consulenti neuroscientifici".