Crisi università in Italia, il report: studiare conviene meno che nei Paesi Ocse
Nel nostro Paese il beneficio economico dato da una laurea risulta minore che altrove. Le retribuzioni dei docenti italiani restano basse e poco dinamiche
Fra il 2000 e il 2021 i livelli di istruzione in Italia sono cresciuti più lentamente della media degli Stati Ocse. Nel nostro Paese, infatti, il beneficio economico dato da una laurea risulta minore che altrove. Nei Paesi aderenti all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, in media, un laureato nell'arco della vita lavorativa (25-64 anni) guadagna il doppio di chi non ha un titolo di istruzione secondaria superiore; in Italia questo vantaggio è meno cospicuo: 76% in più.
Oltre il 30% degli studenti lascia l'università - Secondo il rapporto "Education at a Glance 2022 - Uno sguardo sull'istruzione", inoltre, la quota di giovani italiani fra i 25 e i 34 anni con un titolo di istruzione universitaria è cresciuta di 18 punti percentuali (dal 10% nel 2000 al 28% nel 2021) rispetto a una crescita in media di 21 punti percentuali. L'Italia resta uno dei 12 Paesi Ocse in cui la laurea non è ancora il titolo di studio più diffuso in questa fascia di età. In Italia la quota di donne che si laureano è più elevata degli uomini, ma oltre il 30% degli studenti iscritti a una triennale abbandona il percorso di studi entro i primi tre anni.
Bene il dato sulla frequenza della scuola dell'infanzia - Il report anche quest'anno conferma per l'Italia un quadro di criticità dell'istruzione, non mancando, tuttavia, di sottolineare aspetti che - nel confronto internazionale - emergono come relativi punti di forza o comunque incoraggianti. Fra questi, primo fra tutti l'elevata percentuale di bimbi fra i 3 e i 5 anni che frequentano la scuola dell'infanzia (92%), un dato che colloca il nostro Paese al di sopra della media, anche se bisogna ricordare che il monte ore di insegnamento dell'Italia è inferiore alla media europea (rispettivamente 945 e 1071 ore), con una minore offerta oraria nelle regioni meridionali.
Sopra la media Ocse, sia pure leggermente, si conferma nel 2021 anche la spesa cumulativa per il singolo studente della scuola dell'obbligo: per un ragazzo o una ragazza fra i 6 e i 15 anni spendiamo in Italia 105.750 dollari (calcolati a parità di potere d'acquisto, per tenere conto delle differenze del costo della vita fra i diversi paesi). Va osservato, tuttavia, che questo non si traduce in un'offerta di servizi e spazi scolastici uguale sui territori, dove esistono ampi divari, ad esempio, nell'offerta di tempo pieno, nella disponibilità di mense scolastiche o di palestre nella scuola primaria e secondaria di I grado.
Stipendi dei prof bassi - L'Italia è invece decisamente agli ultimi posti per quanto riguarda la spesa per studente universitario: 12mila dollari all'anno contro una media di oltre 17.500. Il report conferma poi il dato noto che le retribuzioni dei docenti italiani sono basse e poco dinamiche, ciò che rende l'insegnamento nel nostro Paese una professione poco attraente. Entrando nel dettaglio, si sottolinea come le retribuzioni nei Paesi Ocse vanno in media dai 42mila dollari del livello pre-primario a più di 53.500 della secondaria di II grado, mentre in Italia si collocano a livelli inferiori, rispettivamente a 40mila e 46.000 dollari.
Anche le dinamiche nel tempo impressionano: dal 2015 al 2021 la retribuzione media Ocse di un insegnante di scuola secondaria di I grado è aumentata del 6%, ma in Italia l'incremento è stato inferiore, solo dell'1%. Interessante, infine, il confronto nei diversi paesi fra la retribuzione degli insegnanti e quella degli altri laureati. Nel 2021 in Italia un docente di secondaria di I grado ha guadagnato il 27% in meno di un lavoratore full-time laureato (media Ue, -11%). La retribuzione dei dirigenti scolastici è invece dappertutto in genere superiore a quella di un lavoratore full-time laureato (media Ue, + 31%), in Italia è più alta del 73%.
Ancora troppi i Neet - Un significativo indicatore del deficit di efficacia dell'istruzione in Italia in vista dell'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro che emerge nel teport è la crescita del numero già elevato dei giovani adulti che non hanno un lavoro, né seguono un percorso scolastico o formativo (Neet), rischiando di avere risultati economici e sociali negativi a breve come a lungo termine. Dopo essere salita al 31,7% durante la pandemia nel 2020, la quota di Neet tra i 25 e 29 anni in Italia ha continuato ad aumentare fino al 34,6% nel 2021. Tale quota è diminuita tra il 2019 e il 2020 dal 28,5% al 27,4% per i giovani tra 20 e 24 anni, ma è poi aumentata fino al 30,1% nel 2021. Questa situazione rischia di perpetuare il circolo vizioso che va dalla povertà economica a quella educativa, e viceversa.
Laurea magistrale e triennale - Un'importante differenza fra l'Italia e gli altri Paesi Ocse è la distribuzione dei titoli di studio terziari. Mentre in Italia fra la popolazione fra i 25-64 anni il 14% ha una laurea magistrale e il 5% triennale, la media Ocse vede una situazione opposta, con il 19% di lauree triennali e il 14% magistrali. Il conseguimento di un titolo di studio universitario facilita l'ingresso nel mercato del lavoro, ma con forti differenze tra tipi di lauree. Nel 2021 il tasso di occupazione dei laureati in medicina e nelle professioni sanitarie o nei servizi sociali era pari all'89%, ma solo del 69% tra i laureati nelle discipline artistiche.
Inoltre, gli studenti di triennale che si laureano entro tre anni dalla fine della durata teorica del corso di studio in Italia sono solo il 53% contro una media del 68%. Per quanto riguarda il supporto finanziario fornito agli studenti universitari, il 38% degli studenti in Italia ne è destinatario (generalmente borse di studio e servizi per il diritto allo studio universitario), posizionando il nostro Paese in una posizione intermedia tra quelli di area Ocse con un'elevata percentuale di studenti che ricevono supporto finanziario (80%) e altri con percentuali più contenute (meno del 25%).
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