Vita sociale

Hate-following: perché ci piace odiare certi contenuti

Un bizzarro e diffusissimo meccanismo ci spinge a cercare e seguire profili e programmi che in realtà detestiamo

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Quando affermiamo di detestare con tutto il cuore certi contenuti, che si tratti di profili social o di programmi tv, siamo del tutto sinceri, ma in pratica continuiamo a guardarli e a cercarli con ostinato masochismo, dato che davvero non ci piacciono e addirittura ci lasciano l’amaro in bocca. Perché ci comportiamo così? Si tratta di un meccanismo piuttosto comune, noto con il nome di hate-watching (guardare con odio), che in versione social si trasforma in hate-following (seguire ciò che si detesta). Anche gli psicologi si sono mossi per spiegare quali sentimenti ci trasformino in odiatori seriali, anche nei casi in cui, per fortuna, la nostra antipatia non si trasforma nell’invettiva violenta e distruttiva che a volte si trova sulle piattaforme. 

IN FONDO, CI PIACE ODIARE – Imbattersi in un contenuto che non riscuote il nostro gradimento è esperienza comune: cominciamo a guardare una serie o a seguire un profilo Facebook o Instagram perché ne siamo incuriositi, ma in breve tempo scopriamo che non fa per noi, anzi ci procura un senso di disagio, se non di vera repulsione. Il buon senso ci direbbe di ritirarci dal nostro status di follower e passare oltre: di certo in Rete o in tv non mancano le alternative in grado di soddisfarci maggiormente. Invece continuiamo a scorrere quei post o a seguire il programma puntata dopo puntata perché siamo affascinati dallo stesso senso di disgusto che proviamo. Insomma, il nostro odio ci procura una certa soddisfazione. Il fenomeno è così comune che l’hate-watching ha persino trovato posto nel Dizionario Oxford Languages che lo definisce come “l’attività di guardare qualcosa per il piacere che deriva dal deridere o criticare”.

PERCHÉ SIAMO TUTTI UN PO’ ODIATORI – Quindi, a quanto pare, il piacere che si prova assistendo a un contenuto che detestiamo, o seguendo un personaggio che ci disgusta, deriva esattamente dal poterlo criticare, anche non espressamente, dal sentirsi migliori e dal potersene prendere gioco. Alcuni studi hanno scoperto che ci sentiamo più felici quando proviamo emozioni intense, anche se non necessariamente positive: una certa quota di negatività, come appunto odio, antipatia e rabbia, favorisce anzi il nostro benessere. L’importante è indirizzare il nostro odio verso contenuti realmente criticabili: in questo caso il nostro status di hate-watcher, avrebbe addirittura un ruolo benefico di decompressione. È invece molto diversa la situazione di chi, davanti alla tv o a un social, ha bisogno di trovare qualcosa da odiare, a prescindere dal contenuto o dalla persona che trasforma in bersaglio. Questi sono gli haters nel senso forte del termine, capaci di ricoprire di insulti in modo indiscriminato, facendo anche gravi danni. Qui non esiste più nessun beneficio, ma solo la manifestazione di un disagio e di una frustrazione profonda che dovrebbe trovare risposta in tutt’altro modo. 

SIAMO ATTRATTI DA CIÒ CHE ODIAMO – Quanto restano all’interno di certi limiti, antipatia e attrazione possono sembrare legate a doppio filo tra loro. Detestiamo un personaggio, ad esempio un influencer, ma non pensiamo neppure per un attimo a smettere di seguirlo. Lo odiamo, ma nello stesso tempo ci sentiamo attratti da lui, in un continuo e ambiguo passaggio dalla repulsione all’ammirazione segreta. E se da un lato ci preme sottolineare che noi siamo completamente diversi da lui, dall’altro è evidente che ci è molto più facile odiarlo che invidiarlo. Il fatto di poterlo giudicare, anzi, ci offre una via di fuga nella quale, criticandolo o ridendo di lui, avvertiamo di meno la nostra inferiorità.  

PERCHÉ SAREBBE MEGLIO DARSI UN LIMITE – Dunque il fenomeno, per quanto non proprio lusinghiero, in fondo è comune proprio perché siamo umani. In ogni caso non si tratta di un’abitudine a cui è sano abbandonarsi senza limiti: non è una pratica del tutto innocua, anzi ci espone a un circolo vizioso di negatività che sarebbe meglio spezzare. Entro certi limiti, lo dicevamo sopra, siamo tutti un po’ odiatori: il fatto di dirigere le nostre antipatie verso contenuti o personaggi lontani dalla nostra quotidianità ha il merito di preservare da questi sentimenti le persone reali e a noi vicine. Abbandonarsi senza freni all’hate-watching o all’hate-following, però, alimenta la spirale della maldicenza, delle fake news, del pregiudizio e degli stereotipi in base a cui si finisce per reagire sempre più spesso, tanto che ormai quasi non ce ne rendiamo più conto. La sovraesposizione a contenuti che generano rabbia e frustrazione, come pure alle cattive notizie, è un meccanismo che si autoalimenta e genera altra negatività. Esattamente il contrario di quello che aiuta ad essere più sereni e resilienti in un periodo complesso come quello che stiamo attraversando.