Alla riscoperta del distillato agricolo per eccellenza
Gli Aztechi amavano bere un fermentato di agave leggermente alcolico: oggi le regole di disciplinare sono garanzia di un prodotto di qualità
La seconda vita dei distillati dell'Agave
Negli ultimi anni i distillati dell’Agave stanno vivendo una seconda vita, come se abbandonata l’adolescenza gustativa (figlia anche di alcune pessime abitudini di consumo importate dagli USA ma divenute comuni anche qui da noi) finalmente essi possano venir riscoperti per il loro incredibile potenziale in miscelazione e per la loro complessità aromatica in degustazione.
Questo percorso di crescita è senza dubbio cosa buona e giusta, ancor di più se ci si ferma a pensare al lunghissimo e faticoso lavoro che sta dietro alla distillazione degli spirits messicani, molto più simile a quello di un viticoltore che a quello di un produttore di vodka. Infatti la magica pianta che cresce rigogliosa in Messico per giungere a maturazione non impiega mesi, ma di anni (minimo 6), con tutti i rischi che può voler significare tenere una coltivazione così a lungo, rendendo le Agavi per le famiglie di agricoltori che si dedicano a questo tipo di coltivazione un vero e proprio investimento in borsa più che una cassaforte. Un mondo in cui il destino si fa attendere per anni e si realizza in pochi giorni.
Nonostante questo il Messico si è reso perfettamente conto di avere tra le mani un gioiello inestimabile, e ha deciso di fare tutto quello che è in suo potere per preservare inalterata la qualità e la purezza della propria arte distillatoria. Se da un lato le regole di disciplinare sono oggi garanzia di un prodotto di qualità, la crescente “sete” di tequila a livello mondiale ha portato i grandi gruppi beverage ad investire acquisendo i marchi artigianali, rendendoli sempre più meccanicizzati e standardizzati nella qualità. Ma c’è chi per fortuna ha deciso di andare contro corrente come Tequila Fortaleza che nonostante possa apparire di più “giovane” fondazione rispetto ai grandi brand ha in realtà alle spalle una storia molto antica e continua ad utilizzare i propri metodi ancestrali per produrre uno dei distillati più profumati e riusciti dell’intero stato di Jalisco.
La storia della Tequila
Se fin dall’era pre-colombiana gli aztechi amavano bere un fermentato di agave leggermente alcolico è solo nella prima metà del cinquecento con l’arrivo dei primi alambicchi nelle colonie che si inizia a produrre un distillato. Nel 1512 viene fondata la città di Tequila, località in cui nel 1795 Carlo IV di Spagna concederà il diritto di distillazione alla famiglia Cuervo di quello spirito che in breve tempo con questa località condividerà anche il nome. Nel 1873 Don Cenobio Sauza, fondatore dell’omonima azienda, è il primo ad esportare Tequila negli Stati Uniti, creando così le basi per il successo globale. Un successo che però richiede anche delle regole per impedire contraffazioni o prodotti di scarsa qualità. È il 1974 quando viene promulgato il primo disciplinare di produzione della Tequila, che prevede ad esempio che si debba utilizzare come materia prima esclusivamente Agave Azul Tequilera Weber, così come si definiscono le eventuali tipologie che derivano dall’invecchiamento: oltre alla bianca esistono infatti la Reposado (minimo due mesi in botte di quercia) la Anejo (minimo un anno) e l’Extra anejo (minimo tre anni).
Fortalezza, ovvero il ritorno alle origini
Ricordate Don Cenobio Sauza, colui che a fin 800 aveva esportato per primo negli USA? L’azienda con il suo nome dopo varie generazioni è stata venduta ad una multinazionale, che prosegue il suo lavoro conservando l’etichetta storica sulla bottiglia. Tra i suoi discendenti però c’è chi ha mantenuto l’amore per questa terra, per le proprie tradizioni e per il Tequila ancestrale: Guillermo Erickson Suaza, quinta generazione di produttori, ha deciso di ripartire da una storica distilleria posta ai margini della città, posta al limitare delle case e all’inizio dei campi come un immenso scoglio su cui le verdi onde di Agave si schiantano prima di travolgere l’abitato. Qui tra le colline morbide ed i laghetti artificiali crescono le piante, attendendo di essere raccolte allo scadere dei propri 6-7 anni. Per gestire queste lunghissime tempistiche bisogna studiare meticolosamente la rotazione dei campi, gestendo al meglio ogni aspetto della produzione. Una volta raccolti gli immensi Agave, vengono caricati sui camion e portati alla distilleria dove vengono cotti in grandi in forni a vapore sono per circa 30 ore e poi “spremuti” con una gigantesca macina di pietra (chiamata tahona e fatta di pietra vulcanica) come si faceva all’epoca, abbandonando ogni automatizzazione. Il succo, poi fermentato in tini per più di 3 giorni e distillato due volte in un piccolo e antico potstill di rame, a cui segue filtrazione a carbone, grazie a questo processo mantiene inalterate tutte le note e i profumi. Qui nulla è lasciato al caso, e se le bottiglie sono ancora soffiate una ad una, gli iconici tappi vengono dipinti manualmente e le etichette attaccate con certosina precisione.
Chi è abituato a bere tequila come “shot” resterà esterrefatto assaggiando questo distillato, e per capirlo a differenza dei Whisky non bisogna cercare i lunghi invecchiamenti, ma basta provare la Blanco: aromi di agrumi e note vegetali sono subito percepibili al naso insieme all’importante profumo di Agave, mentre al palato si colgono le complessità dell’agave cotta con sfumature di vaniglia, basilico, oliva e lime. Insomma, per capire la tequila e tornare ad apprezzarla per il grande distillato quale è, bisogna ritornare alle origini, alla sua storia e alla sua agricoltura, e Fortaleza sicuramente è il prodotto perfetto per farlo. Sorso dopo sorso.
Di Indira Fassioni
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