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Bologna, la vittima disse ai carabinieri: "Temo di scatenare la sua rabbia"

Nella sua denuncia contro l'ex compagno, la donna raccontò che spesso accondiscendeva alle sue richieste per paura. "Mi controllava e bastava una foto su Facebook per scatenare una scenata"

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Alessandra Matteuzzi, la donna uccisa dall'ex compagno Giovanni Padovani a Bologna, il 29 luglio diceva ai carabinieri, nella denuncia-querela per stalking: "Tutte le volte in cui ho accondisceso alle sue richieste è stato per paura di scatenare la sua rabbia. Alla luce di tutte le occasioni in cui è riuscito ad accedere al condominio dove abito, ho sempre timore di ritrovarmelo davanti ogni volta che torno a casa o quando apro le finestre". 

"Controllata per gelosia" - Nella sua denuncia la donna, descrivendo la sua relazione con il 26nne che l'ha poi assassinata, spiegava "Il nostro rapporto si basava sempre sull'invio da parte mia dei video che lui mi aveva chiesto e di videochiamate, ma questo non è bastato a frenare la sua gelosia, perché i dubbi sulla mia fedeltà non sono mai passati. Anche una semplice foto postate da me sui social e che inquadrava le mie scarpe appoggiate sul cruscotto dell'auto al rientro da una trasferta di lavoro era stata motivo di una sua scenata". Nonostante la segnalazione donna, nei confronti dell'uomo non erano state disposte misure cautelari. 

Bologna, donna massacrata dal compagno

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Il "riavvicinamento" a metà luglio - Alessandra Matteuzzi aveva inoltre raccontato, nella sua denuncia, i controlli a cui era sottoposta e le occasioni in cui lui si era presentato sotto casa. Una sola volta c'era stata un'aggressione fisica: era accaduto in Sicilia, quando lui l'aveva spintonata facendola cadere su un letto. A metà luglio, quando i due avevano avuto un riavvicinamento dopo un periodo di crisi, tra il 14 e il 22 "è stato più volte aggressivo nei miei confronti - aveva detto la donna alle forze dell'ordine -, non ha mai usato violenza fisica, sfogando la sua rabbia, sempre dovuta alla gelosia, con pugni sulla porta". 

Spiata sui social - Oltre alle richieste continue di inviargli foto e video per dimostrare dove si trovava, la donna uccisa a Bologna da Giovanni Padovani aveva riferito ai carabinieri, nella querela sporta il 29 luglio, di essere controllata costantemente sui social di aver scoperto, a febbraio, che le password dei suoi profili erano state tutte modificate. "Ho potuto constatare - raccontava - che erano state modificate sia le email che le password abbinate ai miei profili, sostituite con indirizzi di posta elettronica e password riconducibili a Padovani". Inoltre "ho rilevato anche che il mio profilo WhatsApp era collegato a un servizio che consente di visualizzare da un altro dispositivo tutti i messaggi da me inviati. Ne ho quindi dedotto che nei giorni in cui era stato da me ospitato era riuscito a reperire tutte le mie email e le mie password che avevo memorizzato nel telefono".

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