IL DEBUTTO NEL 1992

Toni Servillo festeggia 30 anni di cinema: una carriera "da teatrante militante"

Il suo primo film fu "Morte di un matematico napoletano" del 1992, che segnò l'esordio anche di Mario Martone

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Qui giace Toni Servillo, Toni a teatro Servillo al cinema": la battuta ironica è dello stesso attore che definisce così il suo dualismo mentre festeggia trenta anni di cinema in una carriera, come la definisce lui stesso, "da teatrante militante". Il Covid lo ha fatto impegnare di più in questi ultimi anni sul cinema ("prima lo accettavo solo d'estate, d'inverno ero in tournee"), tre film pronti in uscita, "ma il prossimo anno torno a teatro. Al Piccolo di Milano e poi a Napoli", ha detto qualche giorno fa a Marateale intervistato dal direttore della Mostra del cinema di Venezia Alberto Barbera. Pronti per uscire nelle sale ci sono "Il primo giorno della mia vita" con la regia di Paolo Genovese, interpretato con Margherita Buy, Valerio Mastandrea, Lino Guanciale, "Il ritorno di Casanova" diretto da Gabriele Salvatores e "La Stranezza" di Roberto Ando' accanto a Ficarra e Picone.

La sua passione è il palcoscenico ma al cinema si è preso tante belle soddisfazioni e oggi Servillo, 63 anni di Afragola (Na), è uno tra i più carismatici attori italiani, con decine di riconoscimenti. "Ho cominciato a fare cinema piuttosto tardi - ammette - credevo che la mia attività si esaurisse con il teatro che non ho mai abbandonato: del resto il primo film, "Morte di un matematico napoletano" del 1992, che è anche il film d'esordio di Mario Martone, fu una conseguenza del nostro progetto teatrale, avevamo fondato una compagnia (Teatri Uniti ndr) con uno spirito forte di indipendenza autoriale e produttiva e con quell'idea cominciammo il cinema, non a caso protagonista era quel grande uomo di teatro di Carlo Cecchi".

Servillo ha lavorato con Bellocchio, Garrone ma sono due i grandi sodalizi: con Mario Martone e Paolo Sorrentino, ben sei film con ciascuno. "Paolo prima di essere grande realizzatore di immagini è uno scrittore, uno straordinario dialoghista, le battute diventano persino proverbio come il 'Non ti disunire!' detto al protagonista Fabietto in "E' stata la mano di Dio".

Paolo - rivela - si esercita quotidianamente con la scrittura, gira sempre con l'attrezzatura per scrivere ovunque si trovi. Mario invece è uno che fa parlare in maniera eloquente e brillante i luoghi nei quali cala i personaggi, è uno straordinario 'decorateur', in lui scenografo e regista si integrano. Vediamo Qui rido io, il film che racconta Eduardo Scarpetta: Martone fa mescolare teatro e vita al punto da non distinguere il sipario del palcoscenico dai tendaggi della sua casa, mentre in "Nostalgia" ha veramente saputo raccontare la Sanità come se fosse un quartiere di Algeri, Del Cairo. Con Mario a teatro lavoriamo insieme da quando avevamo 18 anni, è mio fratello, mentre Paolo mi ha sempre considerato suo fratello maggiore. Insomma sono miei fratelli e conosco i loro progetti sempre dalla fase iniziale, ma non ho un ruolo autoriale perché ritengo che il cinema sia dei registi, gli attori possono illuminare un film ma colui che porta i contenuti nel cuore dello spettatore è il regista, che se lo pensa, se lo gira, se lo monta a differenza del teatro dove invece questo ruolo è dell'attore".

Toni Servillo non è solo attore per registi-star, il suo nome è nei cast di molti debutti: il primo film di Andrea Molaioli, di Claudio Cupellini, di Francesco Amato, di Daniele Cipri' senza Maresco e degli stessi Martone e Sorrentino.

"C’è qualcosa di entusiasmante nei debutti, che ha a che fare con la prima volta, l'inizio di qualcosa. Ora mi piace ancora di più perché magari con il mio nome riesce a decollare il film di un giovane e poi da loro si impara moltissimo, si trae linfa e si impara ad invecchiare meglio. C’è da dire che abbiamo una generazione incredibile di giovani attori, come Borghi e Marinelli che ammiro. Il cinema italiano gode dal punto di vista artistico di una grandissima considerazione, abbiamo registi di fama internazionale che da quando avevano 40 anni come Alice Rohrwacher e Matteo Garrone, oltre ai già citati, raccolgono allori: non c’è solo la tradizione del cinema italiano dei tempi d'oro alle spalle ma anche una nuova leva. Tra le cose più importanti che il nostro paese ha offerto al mondo in questi anni c’è sicuramente il cinema e dobbiamo andarne più fieri".