Anche se siamo in piena estate, tra crisi energetica e perdurare della pandemia si preannuncia un inverno decisamente polare per gli studenti italiani. Infatti da più parti emerge chiaramente che l’unica via per ridurre significativamente il rischio contagio in ambito scolastico sia quella di trattare l’aria all’interno delle aule. Peccato che, proprio questo passaggio, in oltre due anni di pandemia si sia dimostrato tra i più complessi da completare. Basti pensare che, in base a un sondaggio condotto dal portale Skuola.net sul finire dell'anno scolastico appena terminato, solamente il 5% degli studenti aveva nella propria classe un sistema automatico in grado di cambiare costantemente l'aria o comunque di trattarla in modo da impedire al virus di trasmettersi per via aerea. Difficile immaginare che per la ripresa delle lezioni il quadro cambi di molto.
L'alternativa è il fai-da-te
Così, in quasi tutti gli istituti, è molto probabile che si proseguirà col “copione” adottato da quando si è tornati definitivamente alla scuola in presenza. Cosa prevede? Grosso modo il ricorso ai classici metodi naturali. Se in estate o nei mesi più caldi è abbastanza accettabile pensare di tenere sempre aperte le finestre, un po’ meno lo è in autunno o in inverno. Eppure lo scorso anno, nei momenti più freddi dell’anno, il 40% degli studenti dichiarava che le finestre venivano lasciate aperte praticamente per tutta la durata della giornata scolastica. In 1 caso su 2, invece, si è scelto di aprire frequentemente le finestre, ad esempio nei cambi d’ora o durante la ricreazione. Dinamiche che, come è facile intuire, specie d’inverno hanno aggravato il fenomeno “aule fredde”, già ben presente in tempi normali, figuriamoci con queste nuove accortezze. Forse per questo, in qualche contesto (così almeno ha detto un altro 5% di ragazzi), si è deciso di rischiare lasciando le finestre chiuse il più possibile.
I fondi ci sono, ma non sono sufficienti
Eppure tutti, in primis medici e dirigenti scolastici, sono d'accordo che sia necessario dotare le nostre classi di sistemi di trattamento e sanificazione dell’aria. Allora perché non si riescono a fare dei passi in avanti decisivi? La stessa Skuola.net ha provato a riassumere la vicenda. Già all’inizio dello scorso anno scolastico il problema si era mostrato in modo evidente. Sebbene, infatti, il primo Decreto Sostegni, approvato dal Governo all’inizio del 2021, destinasse alle scuole ben 150 milioni di euro da utilizzare specificatamente per la gestione dell’emergenza sanitaria, facendo un rapido calcolo ci si accorge come quei fondi fossero del tutto insufficienti per una rivoluzione del genere.
Secondo le stime elaborate dall’Associazione Nazionale Presidi (ANP), per dotare un istituto di dimensioni medio-grandi di un efficace sistema di aerazione, servirebbero attorno ai 60mila euro. Ma, secondo le ultime statistiche dell’Anagrafe dell’Edilizia Scolastica del Ministero dell’Istruzione, sono circa 40mila gli edifici attualmente “attivi” (tra sedi, succursali, ecc.) e adibiti alla vita scolastica. Il che fa capire la sproporzione tra i fondi destinati allo scopo e la platea di beneficiari. E spiega perché solo una piccola percentuale di studenti, lo scorso anno scolastico, abbia potuto usufruire di questi sistemi.
I presidi: “Per le scuole solo indicazioni vaghe”
Il che conferma quanto sostenuto in questi giorni dagli stessi rappresentanti dei dirigenti scolastici. Come ha sottolineato Cristina Costarelli, presidente ANP Lazio e dirigente scolastico del liceo “Newton” di Roma, “su questo tema, nelle scuole, non è stato fatto assolutamente nulla. Delle linee guida si attendono da febbraio, ma ancora vige un silenzio assordante. Fino a questo momento ci sono solo delle raccomandazioni che danno indicazioni vaghe”. Facendo capire come la situazione nelle scuole, per molti versi, sia tale e quale a quella del periodo pre-pandemia.
E, come se non bastasse, a peggiorare ulteriormente la situazione ci si mette l’annoso problema delle cosiddette “classi pollaio”, tutt’altro che risolto. Così, anticipa Costarelli almeno per quel che attiene il suo istituto, “ripartiremo a settembre con aule che arriveranno a superare i 30 alunni, in spazi che non li possono contenere, con un discorso di aerazione del tutto insufficiente e la raccomandazione di aprire le finestre che, ad oggi, è l’unico provvedimento indicato per il ricircolo d’aria”.
I medici: “Servono delle linee guida”
A supportare la battaglia dei presidi, come detto, ci sono anche ampie fasce della comunità scientifica che, peraltro, non si sta limitando a ribadire quanto ormai noto ma sta cercando di trovare possibili soluzioni “sostenibili” dal punto di vista economico. Sul punto negli scorsi giorni si è espressa la Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) che, pur premettendo come, “nonostante le evidenze scientifiche sulle modalità di trasmissione del virus, sul tema scuola in Italia qualcosa si è fermato, o meglio non si è mai partiti col piede giusto. Mancano del tutto delle linee guida sulla tipologia di interventi realizzabili negli istituti e sulle tecnologie più idonee per ogni tipo di esigenza, e i presidi sono abbandonati a sé stessi senza una guida per orientarsi, con lo Stato che demanda tutte le decisioni alle singole scuole in nome dell’autonomia scolastica”, ha provato a individuare una via d’uscita.
Come sostenuto dal presidente della SIMA, Alessandro Miani “l’alternativa sono i sistemi di ventilazione meccanizzata (VMC) dell'aria, già usati con successo nella Regione Marche, (abbinabili sia al monitoraggio della CO2, sia ai dispositivi di sanificazione al triossido di tungsteno), in grado di diluire i contaminanti biologici dell'aria (virus e batteri in primis) grazie all'immissione di aria nuova prefiltrata dall'esterno e sottrazione di aria viziata interna”. Ma un’ottima soluzione, secondo la SIMA, sarebbero “anche i purificatori d'aria con filtri HEPA ad alte prestazioni o con filtri DFS (purificazione disinfettante) per la rimozione di nanoparticelle, la cosiddetta filtrazione nanometrica di particelle fino a venti volte più piccole del coronavirus, utilizzati in tutti i principali Distretti scolastici USA”.
L'importanza del monitoraggio dell'aria
Sempre Miani, infine, sostiene che però la cosa più importante, a prescindere dal sistema adottato, rimane “il monitoraggio continuo della CO2 nelle aule con dispositivi smart a semaforo scientificamente validati (tecnologie NDIR e PAS), un affidabile indicatore indiretto del rischio di diffusione infettiva in caso di alunni o docenti contagiati, tanto che la probabilità di contagio da COVID si riduce fino a meno dell’1% se si riesce a garantire livelli ottimali di qualità dell’aria in classe”.
Questi ultimi, fa notare anche Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net “se non altro permetterebbero, a costi tutto sommato limitati e di sicuro inferiori a un impianto di sanificazione o trattamento dell’aria, di conoscere quando l’aria in una classe diventa satura di anidride carbonica e quindi di virus, in caso di positivi in classe senza adeguati dispositivi individuali come le mascherine FFP2. Invitando ad aprire le finestre solo quando c’è la reale necessità di farlo”.