Il Sud finanziario è pressoché desertico. Le banche territoriali che erano il punto di riferimento per gli imprenditori delle grandi regioni meridionali hanno subito un progressivo impoverimento per effetto di due trend convergenti. Il primo è la generale pressione sui margini (che è stata più pesante per le banche più piccole, come sono quelle territoriali). Nei cinque anni tra il 2015 e il 2020, secondo l’analisi dei bilanci di Kpmg, l’utile, in relazione agli attivi, è calato di 40 punti base a fronte di parametri patrimoniali pure solidi (il Total Capital Ratio vicino al 20% e l’NPL Ratio passato dal 18,6% del 2015 al 5,3% del 2020). Chi sta riuscendo a resistere sono le banche sistemiche che riescono a sfruttare le economie di scala e quelle che in qualche modo hanno abbracciato la nuova domanda di un banking snello e da remoto che arriva dal basso e le tecnologie che abilitano queste esperienze d’uso.
Il secondo trend che ha colpito in maniera selettivamente maggiore le banche di minori dimensioni è la riduzione degli sportelli, che sono passati dagli oltre 33mila del 2011 ai 23mila del 2020 (lo dice il più aggiornato censimento annuale delle banche italiane di Banca d’Italia). Oggi il 75% (17.600) degli sportelli fa capo a banche che hanno forma giuridica di Spa (quelle di maggiori dimensioni), mentre alle popolari e alle cooperative ne restano nel complesso poco più di 1.500.
Le banche più piccole sono state acquisite o sono state risolte. Tutti questi trend si esprimono all’ennesima potenza in Sicilia In cui non c’è più gruppo bancario che faccia riferimento all’isola: il Banco di Sicilia, che era l’ultimo superstite, è entrato a far parte del gruppo Unicredit e non c’è dunque una banca che investa sul territorio, a parte qualche Bcc che però si limita al territorio di prossimità e ha un raggio d’azione veramente ristretto.
Il mondo dell’impresa, nel frattempo, è esso stesso cambiato. Se negli anni del boom economico e fino ai primi anni ’90 il rapporto era molto personale, con l’imprenditore che conosceva il direttore di filiale e insieme andavano a prendere il caffè e a parlare di impresa, investimenti, sviluppo, territorio, ora questo non è più possibile: la filiale non esiste più ed erogare prestiti risponde a logiche che non possono prescindere da calcoli millimetrici dei parametri di solvibilità. I requisiti richiesti da Basilea si sono fatti via via più stringenti e il contesto economico si è fatto complesso: i dati di bilancio spesso non servono affatto a fotografare la reale condizione di un’impresa.
Per tutte queste ragioni, il fintech rappresenta una rivoluzione possibile. Con la tecnologia partiamo tutti dallo stesso livello e i territori si appiattiscono, in senso positivo. Sebbene le aziende fintech nascano prevalente al Nord, possono servire clienti su tutto il territorio nazionale e oltre, senza alcuna difficoltà, proprio perché l’esperienza che offrono è completamente digitale.
Secondo Banca d’Italia, i tre quarti delle imprese residenti nel nostro Paese sono localizzate in tre regioni: Lombardia, Lazio ed Emilia-Romagna (e quasi la metà in Lombardia). Il Sud è il grande assente, ma le fintech milanesi già annoverano tra i loro clienti molte imprese meridionali: per Opyn, Sicilia e Campania sono da sempre regioni di riferimento. Il fintech non ha barriere né confini e per essere fisicamente vicino ai clienti, nel nostro caso, abbiamo costruito una rete di agenti sul territorio che sono il surrogato di quei direttori di banca che possono creare relazioni, motore fondamentale della finanza.
Il Sud è comunque costellato di realtà imprenditoriali innovative che si affiancano ai poli industriali di aziende tradizionali che ancora resistono nelle grandi città siciliane e campane. Ma per crescere tutte queste aziende hanno bisogno di capitali e il fintech può diventare volano dello sviluppo loro e insieme di quest’area sempre indietro nelle statistiche generali.
Il fintech è in grado di portare questi capitali, in maniera sempre più massiccia e capillare e senza fare differenze territoriali. Perché per una fintech che la sede dell’azienda sia a Milano o a Palermo non fa differenza – mentre a volte gli screening tradizionali aggiungono una variabile di rischio se le aziende hanno sede in aree economicamente depresse. Noi ci basiamo sull’analisi intelligente dei dati, e l’analisi è asettica. Ma non fredda, in quanto ci poniamo come partner dello sviluppo dei nostri clienti, accompagnandoli lungo il percorso della loro crescita. È il segreto dello human-tech, e in definitiva, del fintech.
Crediamo davvero che con il fintech si possa ricostruire sulle macerie lasciate dalla pandemia e su cui ancora soffiano i venti freddi della guerra. Il fintech gestisce ogni territorio con le sue peculiarità ma senza l’handicap della territorialità.