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La Russia fuori dalla Russia, cos'è Kaliningrad e perché è così importante

Dopo l'inasprirsi delle tensioni con la Lituania, e di conseguenza con Nato e Ue, l'exclave russa è tornata alla ribalta in tutta la sua importanza strategica. Snodo commerciale e portuale, base missilistica e corridoio che lega Bielorussia e Baltico: ecco perché l'antica Konigsberg è in mano russa

Afp

La guerra tra Russia e Ucraina ha riscritto la definizione di guerra totale. Viene combattuta militarmente in un territorio circoscritto, dal quale nessuno entra e nessuno esce per timore di un'escalation nucleare e di un allargamento europeo del conflitto, ma è totale nella misura in cui coinvolge tutto il mondo negli ambiti più diversi: energetico, alimentare, economico, sociale. Una guerra che assume sempre più i connotati di uno scontro tra Russia e Stati Uniti e che si snoda su più fronti. Oltre all'ormai celeberrimo Donbass, il più importante di questi fronti è rappresentato da Kaliningrad, balzata in prima pagina in questi giorni per l'inasprirsi della tensione tra Federazione Russa e Lituania. Quest'ultima ha infatti deciso di bloccare buona parte del commercio russo diretto alla città affacciata sul Baltico. Ma perché questa exclave russa, incastonata tra Polonia e per l'appunto Lituania, è così importante dal punto di vista strategico?

Come nel caso del Donbass, è innanzitutto la geografia a fornirci una prima risposta. Kaliningrad si trova nel cuore della frontiera più strategica d'Europa, quella del Mar Baltico, in mezzo a Paesi del blocco Ue e Nato. Un territorio di "appena" 15mila chilometri quadrati lontano dal corpo centrale dello Stato russo, ma a tutti gli effetti un territorio russo. Importantissimo snodo commerciale e portuale, Kaliningrad rappresenta un avamposto irrinunciabile, visto che nell'ottica del Cremlino il Baltico si sta trasformando a tutti gli effetti in un lago atlantico, soprattutto dopo l'annuncio di un futuro ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato.

Kaliningrad, exclave russa sul Baltico: la mappa

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La minaccia nucleare - Da questa considerazione strategica ne nasce un'altra, di tipo tattico. Proprio per la sua posizione privilegiata, a Kaliningrad i russi hanno istallato testate nucleari capaci, data la vicinanza, di raggiungere le capitali europee nel giro di pochi secondi. Si tratta di uno dei leitmotiv più ricorrenti della propaganda guerrafondaia del Cremlino, che in più di un'occasione ha mostrato sul primo canale della tv di Stato una simulazione della distruzione che le armi atomiche potrebbero scatenare. Per radere al suolo Londra basterebbero 202 secondi, che scendono a 200 per Parigi e a 106 per Berlino. Per Varsavia soltanto 30. Le testate, parte centrale di un riarmo che prosegue imperterrito, sarebbero dunque in grado di colpire buona parte dell'Europa senza lasciare agli americani il tempo di reagire per proteggere i loro alleati della Nato.

L'importanza militare di Kaliningrad - Ma al di qua dell'apocalittica escalation nucleare, Kaliningrad rappresenta un'importantissima base militare per la Russia. La potenza del suo arsenale si è percepita chiaramente durante la maxi esercitazione dell'esercito il 4 maggio, con la simulazione di lancio dei missili balistici a corto raggio Iskander-M. L'intera regione rappresenta un'unica grande base militare, con diversi distaccamenti e sedi della Flotta del Baltico, dell'aviazione e delle truppe di terra (l'11esimo corpo d'armata). Nel dettaglio, l'exclave russa ospita almeno una brigata, un reggimento di fanteria motorizzata e una brigata di fanteria di marina della flotta baltica. Se si collega il punto di Kaliningrad a quello della non lontana San Pietroburgo, con la sua base di Kronstadt nel Golfo di Finlandia, si può disegnare una "mezzaluna armata" che spezza l'egemonia atlantica nel Baltico.

Il corridoio Mosca-Minsk-Kaliningrad - Quello che porta dall'oblast russo a Kaliningrad è un vero e proprio corridoio che Mosca si impegna a scavare dai tempi del crollo dell'Unione Sovietica. Dal cuore della Federazione si arriva al punto medio del percorso: Minsk. La guerra in Ucraina ha confermato una volta per tutte come la Bielorussia di Lukashenko sia di fatto un'estensione politica della Russia di Vladimir Putin. Per arrivare a Kaliningrad manca solo un pezzettino di appena 65 chilometri la breccia di Suwalki, noto in tutto il mondo col nome di Suwalki Gap.

Il fronte più vulnerabile d'Europa; la breccia di Suwalki - Il "corridoietto" di Suwalki rappresenta forse, ora più che mai, la frontiera più "pericolosa" di tutta Europa. Nel caso di un'escalation militare provocata dal blocco totale lituano, il primo obiettivo del Cremlino sarebbe l'occupazione e la chiusura della Striscia di Suwalki. Un'operazione, simulata più volte durante esercitazioni militari congiunte, che taglierebbe in due il blocco occidentale, isolando la parte baltica della Nato e dell'Ue (Lettonia ed Estonia, oltre alla Lituania). E che innescherebbe il domino della reazione dell'Alleanza, costretta e legittimitata dall'Articolo 5 del Patto a intervenire militarmente contro la Russia per manifesta minaccia nei confronti degli Stati membri Polonia e Lituania. In questo modo gli Stati Uniti sarebbero coinvolti direttamente sul campo di battaglia e non più solo come fornitori di aiuti economici e armi in favore di Kiev.

Il blocco lituano - Sebbene appaia come uno scenario estremo, la presa di posizione lituana degli ultimi giorni ne ha rinnovato timore e plausibilità. Vilnius ha infatti annunciato di voler bloccare buona parte (circa la metà) dei beni trasportati su binari, che dalla Bielorussia transitano sul territorio della Repubblica baltica diretti a Kaliningrad. Nl caso venisse completato, il Cremlino si è detto pronto a "staccare l'ossigeno" ai vicini baltici, prevedendo per loro "conseguenze dolorose". Da parte sua, la Lituania ha giustificato la decisione affermando di dover applicare le sanzioni stabilite dall'Ue.

E veniamo alla domanda delle domande: perché Kaliningrad fa parte della Russia? Quando il Muro di Berlino crollò scuotendo il mondo, l'Europa si ritrovò piena di ruderi e macerie. Nel tentativo, durato anni fino ai nostri giorni, di scrollarsi di dosso i cocci del Novecento, il Vecchio Continente si è però ritrovato di fronte a una colonna del passato rimasta perfettamente intatta, proprio nel mezzo del suo territorio.

Da Königsberg a Kaliningrad - Kaliningrad non è sempre stata russa e non si è sempre chiamata così. Per quasi 700 anni dalla sua fondazione per mano dei Cavalieri Teutonici nel 1255, in pieno Medioevo, fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale nel 1945, portava il nome di Königsberg. Un nome già sentito durante le ore di filosofia a scuola, perché lì nacque e insegnò uno dei più grandi pensatori di tutti i tempi: Immanuel Kant. Come ha notato lo storico Alessandro Barbero, l'Ordine Teutonico era uno di quegli ordini militari, mezzo monaci mezzo cavalieri, che erano stati creati per difendere le conquiste cristiane in Terrasanta, come i Templari o quelli che saranno poi i Cavalieri di Malta. Con una particolarità: tra le sue fila annoverava soltanto cavalieri tedeschi.

Dai Cavalieri Teutonici alla Germania, alla Russia - Dalla fine del Duecento di possedimenti cristiani da difendere in Terrasanta, però, non ce n'erano più. I Cavalieri Teutonici dovettero trovarsi dunque una nuova vocazione, che li portò a nord, sul Baltico. Nel giro di un secolo scarso, conquistarono un vastissimo territorio, su cui il Gran Maestro regnava come se fosse stato un re. Un territorio abitato da popoli di lingua tedesca, ma che conservava il nome di un'antica popolazione baltica che i Cavalieri Teutonici avevano annientato: i prussi o pruteni. Un nome di certo familiare. L'area continuò a far parte della Germania fino al 1945, nell'ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale e nel primo dell'invasione sovietica. La popolazione tedesca fuggì dopo secoli nel blocco occidentale e il Paese venne annesso da Stalin. E ancora oggi è parte della Russia. Fu così che la germanica Königsberg divenne la russofona Kaliningrad, ribattezzata in onore del rivoluzionario bolscevico Michail Kalinin.

Perché il Baltico è la frontiera più strategica d'Europa - Anche se a molti può sembrare tutt'altro che un centro nevralgico, l'area del Mar Baltico rappresenta senza dubbio la frontiera più strategica del nostro Continente. La terra dell'ambra, prezioso materiale del quale il Baltico è considerato il deposito più vasto ed esclusivo, ha sempre giocato un ruolo di cerniera e di teatro di scontro fra i "tre mondi europei": il Centro dei popoli germanici e tedeschi, la Scandinavia e la Russia. In quest'area l'Europa e il mondo slavo sono arrivati a toccarsi direttamente, con esiti spesso violenti come quelli paventati ai nostri giorni. Al suo interno il blocco baltico si divide in altre tre realtà separate, che spesso però siamo abituati a considerare come parte di un'unica filastrocca geopolitica: Estonia, Lettonia e Lituania. Basti dire che la prima, di origine ugrofinnica, è naturalmente orientata verso la sfera finlandese, mentre l'ultima conserva dimensione e aspirazioni mitteleuropee. La Lettonia sta nel mezzo, in tutti i sensi, poiché cerca di ritagliarsi un proprio spazio (spiccatamente baltico e soprattutto nel campo finanziario) tra le pressioni russe e una certa indifferenza del blocco atlantico.

Estonia, Lettonia e Lituania - Per queste tre Repubbliche liberatesi dal gioco sovietico passa la linea ideale che separa dunque la Russia dalla Nato. Non a caso il loro ingresso nel Patto Atlantico nel 2004, con la conseguente installazione di basi missilistiche e militari al confine, ha rappresentato e rappresenta tuttora per Mosca il principale motivo di preoccupazione e instabilità. Al di là dell'importanza geografica ed economica, per l'industria e le materie prime, i tre Stati baltici rappresentano un unicum politico e culturale, né esclusivamente russo o europeo. Oltre al fatto di essere state le ultime in ordine cronologico a essere annesse all'Urss (nel 1940) e le prime a richiedere la sovranità territoriale alla fine degli Anni Ottanta, Estonia, Lettonia e Lituania sono le uniche Repubbliche ex sovietiche entrate a far parte di Ue e Nato. La Russia non ha mai smesso di pensarci: si tratta del suo "estero vicino", delle zone cuscinetto che il Cremlino ha bisogno di controllare per sentirsi al sicuro da minacce esterne. Proprio come l'Ucraina, seppur con tutti i distinguo del caso.

Il precedente legato all'Ucraina - In quest'ottica, la perdita del granaio d'Europa ha tutta l'aria di aver scatenato una psicosi geopolitica nei vertici russi, che potrebbe sfociare nell'escalation anche nell'"altra zona calda" del Baltico intorno a Kaliningrad. D'altronde lo si è chiaramente osservato proprio con lo scoppio della miccia ucraina, nel 2014, quando la Russia invase la Crimea. La Nato entrò in Stato di allerta, fortemente preoccupata che le insurrezioni avvenute nell'Ucraina meridionale da parte degli abitanti russofoni potessero avvenire anche nelle zone di orientali di Estonia e Lettonia abitate da russi. Per questo il 6 marzo dello stesso anno gli Stati Uniti corsero ai ripari: l'Air Force statunitense dispiegò i primi 5 caccia F-15 e due Boeing KC-135 Stratotanker presso la base lituana di Šiauliai. Un mese dopo, ad aprile, fu la volta di un corpo navale ausiliario per il pattugliamento del Mar Baltico e di alcune compagnie della 173esima Brigata Airborne dell'esercito americano di stanza a Vicenza. Infine, a maggio, venne avviata anche la prima Nato Air Policing nello spazio aereo delle tre Repubbliche baltiche. Con quello che ci siamo abituati a sentire, chiamarla escalation è quasi un eufemismo.

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