Dopo l’uscita di Space Invaders nel 1978 e il suo grandissimo successo in ogni parte del mondo divenne immediatamente chiaro che ai neonati videogiocatori piaceva molto sparare agli alieni, monocromatici o colorati che fossero. Gli sparatutto a schermo fisso come il best-seller di Taito divennero un vero e proprio genere: tutte le software house dell’epoca, praticamente, provarono a creare un titolo simile o perlomeno a trovarne uno da distribuire.
Ecco dunque arrivare in sala giochi uno sciame di giochi simili, come Galaga o Moon Cresta. Persino Nintendo provò a dire la sua in questo affollato genere col fallimentare - ma interessante - Radar Scope, gioco il cui insuccesso portò inavvertitamente alla nascita di Donkey Kong e Super Mario.
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Fra tutti gli sparatutto a schermo fisso oggi vogliamo ricordarne uno in particolare, dalle origini un po’ oscure: non è ben chiaro, infatti, quale fosse il team giapponese che lo ha originariamente sviluppato, se Hiraoka o TPN. Fatto sta che il qui presente Phoenix si fece subito notare per alcune interessanti caratteristiche: Taito stessa, la "mamma" di Space Invaders, lo prese in licenza per distribuirlo in Giappone mentre per quanto riguarda l’occidente ecco entrare in azione Centuri, importante distributore che portò al successo questo colorato gioco di sparatorie spaziali anche negli Stati Uniti (in tandem con l’attivissima Amstar).
In Phoenix controlliamo la classica astronave solitaria impegnata a distruggere un’intera armata di alieni: l’interessante intuizione del gioco è quella di presentare tali forze ostili sotto forma di stormi di uccelli spaziali.
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In dettaglio, i primi due livelli ci vedono combattere contro piccoli volatili stellari che agiscono in formazione, lanciandosi di tanto in tanto in pericolose picchiate e aprendo ogni tanto il fuoco verso la nostra astronave. I due livelli successivi ci mettono invece contro alcune pericolose uova svolazzanti che dopo qualche secondo di inattività si schiudono rivelando dei grandi condor spaziali che vanno eliminati con un colpo preciso sul corpo: colpire le ali infatti è inutile, dal momento che poco dopo ricrescono.
Il colpo di scena si ha nel quinto e ultimo livello del gioco, quando ci troviamo contro la massiccia nave madre degli alieni, una sorta di enorme disco volante presidiato da uccellini e che ospita al centro una strana creatura coi tentacoli: centrando quest’ultima (dopo aver aperto una breccia nello scafo) permette di eliminarla, chiudendo così un "ciclo" e facendo riprendere il gioco dal primo livello a difficoltà più elevata.
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La presenza della nave madre con il suo super-alieno rappresenta in pratica uno dei primi boss in un videogame (il primo in assoluto si registra nel 1975, con il Golden Dragon dell'avventura testuale Dnd), un vero e proprio punto di riferimento per quello che sarebbe diventato poi il settore dei videogiochi.
Le particolarità di Phoenix non si limitano alla natura dei nemici che andiamo a incontrare. La nostra navicella ad esempio può fare affidamento su un pratico campo di forza che la rende indistruttibile per pochi istanti (e che richiede qualche secondo di ricarica prima di essere riattivato) mentre i cacciatori di high-score, ovvero dei punteggi più elevati con cui entrare in classifica, possono mettersi alla prova centrando i nemici in specifici momenti per ottenere dei bonus.
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Phoenix è un grandissimo successo in sala giochi e attrae l’attenzione di Atari, che ne fa un punto di forza della lineup di Atari 2600, con una campagna pubblicitaria martellante (e una conversione tutto sommato dignitosa, anche se lontana dalla qualità dell’originale).
Non mancano le versioni per home computer, molte delle quali prive di licenza seppur di ottima qualità: è il caso di Eagle Empire per Commodore 64 (Alligata Software), conversione illegale e tremendamente simile all’originale da sala.