Putin e Federico il Grande di Prussia, la storia non insegna: lo "zar" cade negli stessi "errori" e nelle stesse "paure"
Il paragone è provocatorio, ma anche il pretesto per capire qualcosa in più sulla Russia di Putin, dalla riforma militare "più grande dell'ultimo secolo" alle profonde differenze di mentalità che spesso sfuggono a noi occidentali
Ha lanciato un'operazione militare speciale invadendo un territorio confinante, che sente suo ma che non gli appartiene. Un territorio dalla grande importanza strategica ed economica per posizione, industria e miniere, abitato da molte persone che parlano la sua stessa lingua e occupato cavalcando questo pretesto. E con una giustificazione ancora più cinica: la necessità di ripristinare i confini e le condizioni migliori per garantire una pace stabile e duratura con gli altri Stati. Avrete sicuramente capito di chi stiamo parlando. Proprio lui: Federico II di Prussia, detto "il Grande", e della sua invasione della Slesia. D'accordo, la descrizione sembra calzare a pennello anche a qualcun altro.
Fare paragoni quando ci sono di mezzo le guerre è una questione scabrosa. Costruire ponti tra epoche lontane anni luce, poi, è una pazzia. E facciamola questa pazzia, non foss'altro per mostrare quanto la storia possa davvero essere magistra vitae, ma solo a patto che ci sia qualcuno disposto a imparare. "Errori" e "paure", poi, sono parole impegnative, ma il loro uso vuole essere decisamente provocatorio. E allora provochiamo, sempre mantenendo il più profondo rispetto per l'immenso dolore umano che il conflitto ha causato e sta continuando a causare. Cosa possono avere in comune un re di Prussia vissuto in pieno Settecento e l'oltre-novecentesco Vladimir Putin? Più che una domanda che cerca una risposta, un pretesto per capire qualcosa in più sul presente.
Il primo "errore", il più grande, riguarda l'aspetto militare ed è stato quello di credere che gli altri Paesi non avessero capito le sue reali intenzioni bellicose, mascherate da diplomazia e incontri. L'errore altrettanto grave di questi Paesi, d'altro canto, è stato illudersi di aver compreso (Federico e Putin) fino in fondo e, soprattutto, di non aver dato il giusto peso alle avvisaglie di ciò che sarebbe successo.
L'esercito è (quasi) tutto - Trecento anni fa Federico II di Prussia si occupò, prima che dell'invasione della Slesia, di costruire l'esercito più ammirato e temuto d'Europa. Come ha notato lo storico Alessandro Barbero, il "Re Sergente", padre di Federico, aveva lasciato scritto nel testamento che entro sei mesi dalla sua dipartita bisognava aumentare l'esercito di cinque nuovi reggimenti. Federico ne creò nove, convinto più che mai che l'esercito fosse "la cosa più importante di un regno" e che la gloria militare fosse "il destino più alto per un re". Altri tempi, ma molto meno lontani di quanto si creda. Perché in questi ultimi vent'anni le avvisaglie russe sono state ben più esplicite: dalle esercitazioni militari alle invasioni di Cecenia, Georgia e - ovviamente - Ucraina. Ma anche una riforma militare, la "Novyj Oblik" ("New Look") inaugurata da Putin nel 2008, definita da molti esperti come "la più grande dell'ultimo secolo".
Putin per la prima volta visita (coi suoi fotografi) i feriti russi della guerra in Ucraina
La riforma militare russa - L'esercito russo subisce una profonda trasformazione per rispondere nella maniera più rapida alle minacce che Putin avverte come "imminenti": snellisce la catena di comando (saltando divisione e reggimento e passando da 4 a 3: distretto militare, armata, brigata) e i distretti militari (passati da 6 a 4: centrale, meridionale, occidentale e orientale). Taglia unità ed effettivi (-90% per le unità di terra, passate da 1.890 a 172) e riduce drasticamente il numero di ufficiali, dai generali (-21%) ai maggiori (-75%) con l'unica eccezione dei tenenti, che invece sono aumentati da 50mila a 60mila. Ma, soprattutto, rivoluziona l'addestramento dei soldati. Meno uomini imparano meglio e sono meglio equipaggiati. Non è solo una questione di sostenibilità economica: la precedente mobilitazione di massa dedicava meno attenzioni al singolo soldato, che così non stava al passo con i tempi e non era in grado di usare armamenti sempre più avanzati. E per imparare non c'è modo migliore che scendere sul campo di battaglia. Da qui le numerose e nefaste esercitazioni e operazioni militari speciali che hanno destabilizzato il mondo e rivelato al mondo una verità spesso sottovalutata: i soldati russi sono soldati e basta. Così come i soldati prussiani erano soldati e basta.
Le guerre sono sempre e da sempre un fatto brutale. Ma quelle del Terzo Millennio non sono come le guerre en dentelles del Settecento, le guerre "con i pizzi" nelle quali i soldati indossavano uniformi sgargianti e cravattini ricamati e gli ufficiali portavano parrucca, nastri e galloni. La tecnologizzazione, prima, e la bomba atomica, poi, hanno cambiato per sempre le regole del gioco. Il tono delle esercitazioni sembra però rimasto lo stesso, in Prussia come in Russia. Per ordine di Federico le manovre annuali divennero una simulazione della vera guerra. Così realistiche che l'ambasciatore francese, quando fu invitato ad assistervi, rimase impressionato nel vedere quanti cavalli si ammazzavano e quanti soldati ne uscivano con gambe e braccia rotte.
L'opportunità è (proprio) tutto - Il secondo "errore" è la naturale conseguenza del primo: convinti della propria forza, ci si scaglia contro uno Stato sovrano senza troppe remore. Immaginate lo stato d'animo di una Maria Teresa d'Austria appena salita sul trono dopo la morte del padre, messa di fronte a un ultimatum piombato come un fulmine a ciel sereno: cedere la Slesia o prepararsi alla guerra. Federico aveva fiutato la debolezza dell'Impero asburgico ed era determinato ad approfittarne. Contava di mettere Maria Teresa di fronte al fatto compiuto: occupare il ricco territorio e poi offrirle la sua amicizia. Ed era sicuro che Maria Teresa con l'acqua alla gola avrebbe accettato. Non fu l'unica volta in cui Federico, sicuro di sé com'era, sottovalutò l'avversario che si trovava davanti.
Slesia e Donbass - Con le dovute distinzioni, la Slesia rivestiva per Federico la stessa importanza strategica ed economica del Donbass nell'ottica di Putin. Oggi, dopo i grandi spostamenti di popolazione che sono seguiti alla Seconda Guerra Mondiale, la Slesia è in Polonia ed è abitata da polacchi. Si tratta di una grande regione mineraria, industriale, il cuore economico della Polonia. Ai tempi di Federico era invece popolata in prevalenza da tedeschi, aveva un'industria tessile fiorente e soprattutto rivestiva un'importanza strategica. Se si guarda la cartina, ci si accorge che chi è padrone della Slesia può scendere molto facilmente attraverso le montagne in Boemia e in Moravia, nel cuore dell'Impero asburgico. E da lì può minacciare Vienna. La guerra in Ucraina ci ha tragicamente mostrato che anche per il Donbass valgono più o meno le stesse considerazioni. Ricca zona carbonifera grazie al bacino minerario del Don, grande sede industriale con poderose acciaierie (come l'Azovstal), ma anche cuscinetto strategico. La parte più orientale dell'Ucraina è il piedistallo su cui poggia il progetto di Putin di una Russia grande e unita in opposizione alla progressiva espansione della Nato verso Est. In quella zona la Russia si è sempre difesa, cercando di scontrarsi coi nemici nel corso dei secoli "appena fuori" dai confini del cuore della nazione (e dell'Impero).
La sindrome dell'accerchiamento - Questa "strategia della profondità" ci fa entrare nel campo delle "paure", con una sopra tutte: l'accerchiamento. Un timore covato anche da Federico il Grande per la sua Prussia, letteralmente circondata dagli staterelli tedeschi riuniti sotto il Sacro Romano Impero Germanico. Una paura tipicamente russa: non di Putin, non di Stalin, non di Ivan il Terribile, ma russa. Perché è la Russia ad aver creato Putin e non viceversa. Lo "zar" ha ereditato questa mentalità dall'Unione Sovietica, nella quale e per la quale ha lavorato come spia. In nome di questa paura sono state prese decisioni nefaste, che ben conosciamo.
Lo spazio vitale - È però con la conquista di una fetta di Polonia che Federico il Grande inaugura quello che sarà un "errore" comune anche a Hitler e, per certi versi, a Putin. A noi che il Novecento ce lo siamo lasciati alle spalle, la parola "spazio vitale" fa correre qualche discreto brivido lungo la schiena. Ma al di là di ogni vuoto paragone con la Germania nazista, è interessante notare che l'interesse tedesco a conquistare Lebensraum (spazio vitale) verso Est viene inaugurato da Federico. Non verso i Balcani, ma verso le grandi pianure polacche e ucraine. È la prima spartizione della Polonia a introdurre il tema della spinta verso Est inaugurata proprio dalla Prussia. C'è anche un altro elemento che "ricorre" anche nei secoli successivi: agli occhi di Federico, la Polonia è un Paese terribilmente arretrato, "inferiore", e lui lo invade e ne fa una provincia tedesca per riportarlo allo stesso livello del suo regno.
Per Putin il discorso cambia, ma non troppo. Perché per lui l'Ucraina rientra nello spazio vitale di una Grande Russia praticamente da sempre. È un'eredità geopolitica tramandata di capo di Stato in capo di Stato: Leonid Breznev, e prima ancora Josip Stalin, e prima ancora gli zar. Alessandro I, che sconfisse Napoleone, al Congresso di Vienna del 1815 chiese la Polonia e una serie di altri Stati cuscinetto che proteggessero la Russia da eventuali future invasioni. Ieri da parte delle grandi nazioni europee, oggi della Nato.
Machiavelli mon amour - Con Federico II il fine tornava a giustificare i mezzi, dopo che per secoli l'Europa dei re cristiani riuscì a invertire la rotta disegnata da Machiavelli. Un discorso ancor più vero se si parla di Putin, per il quale la Realpolitik va di pari passo con la propaganda. In questo senso Federico e Putin compiono due "errori" diversi, ma complementari. Se il primo non si è mai preoccupato di fornire una giustificazione plausibile per l'invasione, il secondo ha investito moltissimo nella legittimazione a livello internazionale e nella costruzione dell'opinione pubblica in merito alle pretese russe sull'Ucraina. Cadendo più di una volta nella contraddizione.
Il pretesto prussiano - Già qualche antenato di Federico aveva avanzato delle vaghe rivendicazioni sulla Slesia, ma al re non importava niente al punto che non si preoccupò neanche di mandare qualcuno in archivio a ricercare quelle vecchie pretese. Tutt'al più ci si poteva appigliare a un altro pretesto, che all'epoca poteva avere un certo peso: la popolazione della Slesia per metà era protestante, e allora non era giusto che fosse costretta a ubbidire agli Asburgo, che erano cattolici. Alla fine però Federico si prese la Slesia per mero calcolo politico. I suoi ministri erano spaventati e chiedevano una giustificazione legale da presentare all'Europa. Federico rispose: "La faccenda del diritto sono fatti vostri. E cominciate pure a lavorarci, perché gli ordini alle truppe sono già stati dati".
Il pretesto russo - Rivendicazioni che affondano le radici nel passato sono invece alla base del pretesto addotto da Putin per l'invasione dell'Ucraina. La retorica della "denazificazione" gioca sull'ancora vivissimo ricordo popolare dell'invasione tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale. E gioca secondo le stesse regole che, a cavallo tra Vecchio e Nuovo Millennio, portarono Putin usare a proprio vantaggio la paura dei terroristi per giustificare la guerra in Cecenia. Da anni ormai la propaganda russa denuncia la presenza di elementi dell'ultra-destra tra i combattenti nelle aree contese dell'Ucraina orientale, definendoli i "degni eredi" delle brigate locali che, guidate da Stepan Bandera, contribuirono all'attacco all'Urss (proprio in Ucraina) per creare uno Stato indipendente alleato della Germania di Hitler. Nacque l'Armata ucraina d’insurrezione, che poi fu addirittura inglobata nelle SS sventolando l'antica bandiera ucraina gialla e blu, vietata dal regime sovietico. Secondo la propaganda il popolo russo, celebrato dal Soviet Supremo come "unico" e "unito", nascondeva una serpe ucraina nel seno. Da allora diventarono "i traditori" della patria.
L'invasione - Dopo aver lanciato l'ultimatum all'Austria, Federico II invade la Slesia senza neanche aspettare la risposta di Vienna, senza uno straccio di giustificazione o finanche di dichiarazione di guerra. Un'operazione militare speciale lanciata non per ostilità verso l'impero, ma anzi per garantire la pace tra la Prussia e l'Austria. Perché senza quella provincia Federico si sentiva "minacciato", quasi "accerchiato". Il paragone con le parole di Putin è fin troppo evidente. Come quella della Slesia, anche l'invasione dell'Ucraina è fulminea e inizia bene. Poi comincia la resistenza locale, ed è qui che subentrano le differenze: Federico le sue battaglie le vince praticamente tutte, Putin no. Almeno finora.
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