AVEVA 108 ANNI

Morto Boris Pahor, è stato il più grande scrittore sloveno

Raccontò l'orrore dei lager nazisti e le discriminazioni subite dal popolo sloveno nell'Italia fascista

© Afp

Il grande scrittore e intellettuale di lingua slovena di Trieste, Boris Pahor, è morto all'età di 108 anni. Ne dà notizia l'agenzia di stampa slovena Sta. Nato a Trieste nel 1913, Pahor è considerato il più importante scrittore sloveno con cittadinanza italiana e una delle voci più significative della tragedia della deportazione nei lager nazisti, raccontata in "Necropoli", ma anche delle discriminazioni contro la minoranza slovena a Trieste durante il regime fascista.

L'intellettuale, testimone in prima persona delle tragedie del Novecento, ha scritto una trentina di libri tradotti in decine di lingue, tra cui "Qui è proibito parlare", "Il rogo nel porto", "La villa sul lago", "La città nel golfo".

La vita di Pahor è indissolubilmente legata agli eventi della sua terra d'origine e all'esperienza della comunità slovena della Venezia Giulia. Punto di riferimento per i giovani letterati sloveni, ha sempre messo gli umiliati e gli offesi al centro dei suoi libri.

Nato a Trieste il 26 agosto del 1913 come primogenito e unico figlio maschio di genitori sloveni, a sette anni assiste all'incendio del Narodni dom (Casa del Popolo), sede centrale delle organizzazioni della comunità slovena di Trieste: un'esperienza che lo segna per tutta la vita e che affiora spesso nei suoi romanzi. Pahor vive il trauma della negazione forzata dell'identità slovena, attuata dal regime fascista. Dopo la maturità classica, nel 1935, continua gli studi di Teologia a Gorizia per poi abbandonarli nel 1938. Nel frattempo si avvicina alla prestigiosa rivista Dejanje, fondata dal grande poeta e pensatore sloveno Edvard Kocbek, e pubblica i primi contributi letterari col proprio nome. L'abbandono degli studi teologici segna anche il suo ritorno a Trieste, dove inizia a frequentare la cerchia degli antifascisti sloveni.

Gli anni della Seconda guerra mondiale - Il 5 febbraio 1940 è chiamato alle armi e mandato in Libia, esperienza che conclude l'8 febbraio 1941, testimoniata dai diari Nomadi brez oaze (Nomadi senza oasi). Ottenuta la maturità classica in un liceo di Bengasi, si iscrive alla facoltà di lettere dell'Università di Padova e prende servizio a Bogliaco, sul lago di Garda, come sergente. Dopo l'armistizio torna a Trieste, in mano ai tedeschi. Decide di unirsi alle truppe partigiane slovene della Venezia Giulia e rimane in clandestinità a Trieste. La sua attività in città viene scoperta dai collaborazionisti sloveni, che lo arrestano il 21 gennaio 1944. Pahor viene deportato in Germania il 26 febbraio 1944. La tragica esperienza del lager viene descritta in Nekropola, un capolavoro tradotto in oltre venti lingue, e più recentemente in Triangoli rossi, opera edita da Bompiani nel 2015. La deportazione lo porta in diversi campi di concentramento, l'ultimo a Bergen-Belsen. Qui nell'aprile del 1945 viene liberato insieme ad altri prigionieri dalle truppe britanniche. Raggiunge Parigi dove gli viene diagnosticata la tubercolosi e viene dunque mandato in un sanatorio a Villeurs-sur-Marne.

Vita privata e insegnamento - Rientra a Trieste nel dicembre del 1946 e un anno dopo si laurea con una tesi su Espressionismo e neorealismo nella lirica di Edvard Kocbek. Il 30 ottobre 1952 si unisce in matrimonio con Franciška Radoslava Premrl, scrittrice e traduttrice, sorella dell'eroe nazionale sloveno Janko Premrl. Dalla loro unione nascono due figli, Maja e Adrijan. Il 1° novembre 1953 entra in ruolo come insegnante di letteratura slovena e poi di quella italiana alle scuole medie inferiori e quindi a quelle superiori con lingua d'insegnamento slovena a Trieste, ruolo che ricopre fino al 1975. Dal 1966 al 1991 dirige e pubblica la rivista Zaliv che accoglie anche autori della dissidenza e della diaspora politica slovena.

La denuncia del massacro dei prigionieri sloveni - Nel 1975, assieme all'amico triestino Alojz Rebula, Pahor pubblica il libro "Edvard Kocbek: testimone della nostra epoca" in cui il poeta sloveno denuncia il massacro di 12mila prigionieri di guerra, appartenenti alla milizia collaborazionista slovena, perpetrato dal regime comunista jugoslavo nel maggio del 1945 con la connivenza delle truppe britanniche. Il libro provoca durissime reazioni da parte del regime jugoslavo. Allo stesso Pahor viene vietato a lungo l'ingresso in Jugoslavia. Nel 1986 a Parigi, in occasione della mostra Trouver Trieste al Centre Pompidou, l'autore conosce il filosofo Evgen Bavcar (1946) che gli presenta il suo primo editore francese. Il capolavoro Necropoli comincia così la sua ascesa.

Vincitore di numerosi premi letterari, Pahor nel 2007 è stato insignito della Legion d'onore e nel 2020 del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Oggi lo scrittore viene considerato un grande classico della letteratura del Novecento.